Benedizione (Kent Haruf)
Dalla prima pagina il richiamo ad Hemingway è irresistibile. Poi vedo che ha vinto il premio Hemingway, che Hemingway è stracitato nelle copertine dei tre romanzi che si svolgono nella immaginaria Holt, Colorado, e mi dico si vede che era troppo facile.
Ci rifletto ancora un po’: un altro richiamo mi si affaccia ed è Raymond Carver. Mi dico allora questo Haruf lo posso forse definire un manierista, che compone pregevoli opere ma senza la nettezza di Hemingway nè la capacità ellittica (che vorrà mai dire “capacità ellittica”? posso solo augurarmi che chi abbia letto Carver ci si riconosca) di Carver.
La trama è di quelle che potrebbe essere “qualsiasi”, cioè quando non conta ciò che accade ma come viene raccontato. Qui i pochi personaggi si muovono in un mondo chiuso, in cui sembra che le cose importanti, solo aleggiate, siano successe a tutti a Denver: il pastore l’ha dovuta lasciare, il figlio vi è scappato…
Per un libro di circa 270 pagine sembra impensabile che, dopo solo qualche decina di pagine, abbia sentito la necessità di farmi uno schemino dei personaggi e delle loro relazioni. Questo per la fastidiosa abitudine di cominciare una frase e proseguirla abbastanza a lungo da costringere a chiedersi di chi sta parlando? senza nominare il soggetto protagonista dell’azione se non al paragrafo successivo, o facendolo dedurre magari dall’interlocutore del soggetto stesso.
Finora sembra solo una critica feroce, lo capisco. Ma la scena di quattro donne, dai 10 agli ottant’anni, che una alla volta e poi tutte insieme si fanno il bagno nude in una larga cisterna dove pure si abbeverano le vacche è di una bellezza e leggerezza da valere tutto il romanzo. Il quale, peraltro, comunque – forse ho esagerato con gli elementi critici – si fa leggere più che piacevolmente.
Sono ancora incerto se continuare con “Canto della pianuta” e “Crepuscolo”.