Cosa resta di noi (Giampaolo Simi)

La Versilia, una coppia che non riesce ad avere figli, composta da un bagnino diventato imprenditore per matrimonio, una donna bellissima che ne è diventata la moglie e si dedica alla carriera di scrittrice e poi di presenza televisiva, l’arguzia toscana quando diventa becera, un’impiegata innamorata dell’uomo sbagliato.

È quest’ultima che muore. Anzi scompare. Tranquilli: succede nelle primissime pagine, quindi non svelo niente.

La scrittura va via liscia, i personaggi sono bel delineati, anche i minori, come l’amico del bagnino, il padre del trucido.

Per la parte “giallo” la storia è ben condotta, ma nelle ultime pagine il crash finale è poco sostenuto dalle premesse e dalla logica e anche le evoluzioni di qualche personaggio – sopratutto la moglie – sono decisamente poco credibili.

Che dire? Gradevole, posso provare con altri.

Il quasi giallo Sellerio è ormai quasi un genere: scrittori dallo stile scorrevole che raccontano storie che fanno pensare a qualche ambizione maggiore rimasta confinata. Di persona Giampaolo Sini – conosciuto ad una “lectio magistralis” sul cui titolo lui stesso ironizzava – ha l’aria simpatica, confermata dalla esplicita dichiarazione di sapere esattamente dove – letterariamente – sta e dove vuole stare.

La verità sul caso Harry Quebert (Joël Dicker)

Una quindicenne scomparsa della quale trent’anni dopo si ritrova il cadavere, sepolto nel giardino di un famoso scrittore, che sarà accusato dell’omicidio.
Un famosissimo scrittore giovane, di cui lo scrittore famoso è stato mentore, si precipita dall’amico per tentare di scagionarlo.

Settecentocinquanta pagine.

Le ho lette tutte. Difficilmente lasceranno traccia. Che la scrittura sia piana e scorrevole è un prerequisito per questo tipo di pubblicazioni volte a far passare piacevolmente il tempo.

Il tema più interessante è quello della scrittura sulla scrittura: lo scrittore è diventato famoso per un libro che parlava dell’amore per la ragazza morta, il giovane scrittore famosissimo scriverà un libro sulla vicenda dello scrittore famoso ingiustamente accusato. Con in mezzo il feroce editore che vuole la consegna entro la scadenza contrattuale prevista.

Il giallo, invece, mi è risultato proprio irritante, con una quantità – una quantità – di situazioni assurde durante la ricerca della verità e un finale con colpi di scena a ripetizione alcuni dei quali basati sull’aver l’autore imbrogliato il lettore, e questo non lo considero perdonabile.

Comunque si fa leggere, se ci si adagia nella posizione di accettazione incondizionata delle astruse costruzioni dell’autore e non si cerca logica nè coerenza.

Ne è stata fatta una riduzione per una miniserie TV: possibile che fosse la vocazione originaria.

Il maestro di nodi (Massimo Carlotto)

Meno di duecento pagine che scorrono lievi, anche se piene di trucidezze, perchè Carlotto scrive lieve e fa succedere un sacco di cose una appresso all’altra.

Tutto poco probabile con quei vecchi banditi con il loro codice d’onore eccetera che si trovano ad avere a che fare con l’ambiente BDSM (sado maso ma qui bello spinto).

In fondo noi che leggiamo vogliamo essere ingannati da chi scrive – non è questa la letteratura? – e Carlotto ci riesce bene.

Ogni coincidenza ha un’anima (Fabio Stassi)

Il protagonista si è inventato un lavoro che a quanto pare gli funziona: ascolta i bisogni di persone che gli si rivolgono e prescrive loro libri.

Arriva la figlia di un grande intellettuale, malato ora di alzheimer, gli chiede di capire, in base a pochissimi indizi lasciati dal padre, di quale libro possa trattarsi.

L’impresa sembra impossibile, ma il nostro è sagace e fortunato.

Se troverà il libro ed eventualmente come utilizzerà il ritrovamento o il non ritrovamento non lo scrivo, perchè è questo il filo, tenue ma bel sviluppato, delle duecento cinquanta pagine – quelle piccole formato Sellerio – del libro.

I personaggi che si alternano nello studio del biblioterapeuta servono a intervallare la storia principale che altrimenti sarebbe poca cosa; sono ben descritti, vivaci, ma del tutto inessenziali alla storia e un po’ fastidiosamente orientati a farci sapere come la pensa l’autore del mondo.

Anche i tanti libri citati – ce ne viene offerto l’elenco in appendice – mi hanno dato l’impressione che l’autore si sia messo davanti alla sua biblioteca e abbia scelto ciò di cui gli piaceva scrivere.

La storia è comunque gradevole e molto ben scritta, scivola via leggera con un finale grazioso e inesorabilmente political correct.

Il bosco silenzioso (Wolfgang Fleischhauer)

La storia scorre fluida, ben raccontata, appassionante.

Il tracciato è segnato dall’inizio, la godibilità non sta nei colpi di scena ma nell’inesorabile percorso che condurrà all’emergere di ciò che è stato con tanta attenzione nascosto.

Come nel lavoro della giovane ricercatrice che “sa far parlare il bosco”, il cui padre proprio in quei boschi scomparve vent’anni prima, bisognerà scoprire strato su strato prima di arrivare a capire. E capire non sarà indolore per nessuno dei protagonisti, ciascuno ben delineato.

Un giallo tedesco, in una fase storica in cui di letteratura tedesca arriva davvero poco, proposto da una piccola casa editrice – Emons – specializzata in gialli tedeschi.

Suggeritomi, insieme a “Uno scia alla corte d’Europa“, dalla libraia di una di quelle piccole librerie – Novarcadia, a Casalpalocco – dove i librai ti sanno consigliare un libro.

Corruzione (Don Winsolw)

Con Don Winslow, dopo “Il potere del cane” e “Il cartello”, sapevo di andare sul sicuro e, dopo l’affresco approfondito sul traffico di droga fra Messico e Usa, con le ramificazioni in Nicaragua, Colombia eccetera, mi è piaciuta l’idea di un poliziesco a New York.

I due romanzi sul mondo della droga sono quanto di più violento io abbia letto e temo che, da qualcosa che qui e là si coglie dalle cronache, la realtà non sia più leggera. “Corruzione” punta più sull’intreccio di interessi e scambi di favori, sempre al limite del giuridicamente e/o moralmente accettabile in nome di qualche superiore interesse sociale, facile peraltro a diventare ideologia dietro la quale nascondere il privatissimo guadagno.

I protagonisti sono quattro / cinque poliziotti di una squadra speciale – “Corruzione” è fuorviante, il titolo originale è “The Force”, che è appunto il nome della squadra –
di quelle viste in mille film della serie basta che tenete pulita la città e noi chiudiamo un occhio sui metodi.

Titolo fuorviante non perchè la corruzione non sia al centro delle vicende narrate, ma perchè il tema sono le vite di questi poliziotti, le relazioni fra di loro – ciascuno si deve fidare al 110% di ognuno degli altri quando si fanno certe operazioni – le rispettive famiglie ed amanti. Poi mafiosi italiani e domenicani, Fbi, piccoli spacciatori, Sindaco, Capo della polizia, agenti infiltrati, Procuratore compongono un affresco che riesce a restituire l’insieme dei film e serie tv basati sui processi, i patteggiamenti, gli accordi indicibili, i tradimenti.

Un avviso importante: non leggete i risvolti di copertina che rivelano qualcosa che arriverà, e non era scontato che arrivasse, a due terzi delle cinquecentoquaranta pagine che si leggono d’un fiato.

Il richiamo della truculenza – qui sempre in secondo piano rispetto alla storia – dev’essere troppo forte per Don Wislow, che nelle ultime cento pagine si è sentito in dovere di elargircene una dose che secondo me si sarebbe potuto risparmiare, ma tant’è.

Un capolavoro? No. Nel suo genere, il meglio del meglio.

Nel guscio (Ian McEwan)

Un gioiellino godibilissimo, e mi fermerei qui, perchè McEwan è uno dei più grandi scrittori al mondo.

Ero restio, mi sembrava una trovata ad effetto far parlare in prima persona un feto vicino alla nascita, ma il risultato è un piccolo capolavoro.

I personaggi – lei, lui, l’amante di lei, l’amante di lui, che ci potrebbe essere di più banale? – li conosciamo attraverso il punto di osservazione limitato del nostro protagonista invisibile, che ascolta i discorsi, percepisce i movimenti interiori del corpo della madre, e ci dà modo di avvicinarci ai fatti in maniera graduale, aggiungendo pezzetti di verità passo passo.

È una storia di amore e tradimenti che strada facendo sconfina in un potenziale giallo/noir, i cui protagonisti sembrano assumere le caratteristiche dei delinquenti stupidi dei fratelli Coen, da Il grande Lebonsky a Fargo.

Mi ha richiamato, per il susseguirsi di eventi e di evoluzioni interiori in un tempo e in uno spazio (numero di pagine) limitato, Cecil beach, pure quello un piccolo capolavoro. La grandezza di McEwan sta nella capacità di passare da tragedie (Bambini nel tempo, Giardino di cemento), a irrimediabili contrasti di personalità e cultura (Cecil beach, appunto), a un divertimento come questo Nel guscio, con la stessa resa letteraria.

Il finale, poi, è proprio delizioso.

Da non mancare.

Breaking news (Frank Schätzing)

Consigliato da Clara Sereni, mille pagine di avventure di un giornalista che, dopo una tragedia in Afganistan di cui è stato parte, ritroviamo – carriera, quella brillante, finita – a ciondolare per i bar del medio oriente scrivendo articoli per giornali secondari.

Gli si presenta lo scoop della vita, l’occasione per provare a rientrare nel giro dei grandi reporter di guerra.

Siccome lo scoop ha a che fare con i servizi segreti israeliani, nelle loro varie diramazioni ufficiali ed anche in quelle che da noi si chiamerebbero deviate, la faccenda si fa complicata fino al rischio della vita, che qualcuno strada facendo ci rimette davvero.

Chi ricorda uno dei racconti della Nausea, di Sartre, sa che il partigiano torturato deve resistere ventiquattro ore per dare modo ai suoi compagni di trovare rifugi sicuri e allora costui, per guadagnare tempo, finge di cedere e si inventa che i suoi compagni hanno come punto di raccolta un certo cimitero. Beh, il punto di racconta è proprio in quel cimitero, ed il povero partigiano senza volere ha consegnato i propri compagni al massacro. Qui succede qualcosa del genere: per avvalorare le informazioni che ha, il nostro protagonista aggiunge di suo qualcosa di molto succoso per il giornale a cui sta offrendo l’articolo e dal quale deve avere una consistente somma di denaro per acquistare il cd, senza sapere che quella invenzione, talmente enorme, è vera, e qualcuno che ha ascoltato la conversazione non può permettersi che venga divulgata.

Comincia così la caccia e la fuga.

Ma questo è solo il filo che lega il romanzo, perchè il grosso della sostanza consiste nel racconto, a mano a mano che i tanti protagonisti si presentano sulla scena e se ne sviluppano le vite, della costruzione dello stato di Israele, delle guerre vinte, delle paci fatte, delle paci non fatte, delle invasioni del Libano dei territori palestinesi del Sinai etc.

Da quello che so, le ricostruzioni sono abbastanza fedeli, anche se il punto di vista è sempre rigorosamente israeliano, ma d’altra parte si tratta di un romanzo e le malefatte israeliane non sono certo sottaciute, anche se grande simpatia verso non tanto i palestinesi quanto i loro capi non sembra esserci.

Se qualcuno ha visto quel peraltro bellissimo film che era Valzer con Bashir può capire quando dico che niente è sottaciuto ma la sofferenza maggiore sembra essere quella di chi è costretto a far finta di non vedere mentre i palestinesi di Sabra e Chatila vengono massacrati dalle milizie falangiste piuttosto che lo strazio di chi è massacrato.

Le parti che mi sono particolarmente piaciute sono quelle delle vite dei colonizzatori di una parte del Sinai che pochi anni dopo sono costretti ad abbandonare tutto perchè è stata fatta la pace con l’Egitto, e alcuni di costoro si ritrovano di nuovo lasciare le proprie case per un nuovo progetto di accordo con i palestinesi. Sappiamo che poi le cose, storicamente e politicamente, stanno andando in tutt’altra direzione, ma le lacerazioni interne e le conseguenze sia sui legami familiari che sulla lealtà dei vari apparati sono ottimamente rese.

Il meglio sono le scene di azione, sia all’inizio in Afganistan sia durante gli inseguimenti a chiave plurima in Israele. Qualche volta al protagonista vengono attribuite doti di combattente direi esagerate, ma il tutto tiene.

Non svelo nè l’invenzione vera del giornalista nè il progetto micidiale che salterebbe se lo scoop fosse reso pubblico, dico solo che risultano credibili nel contesto.

Un libro complesso, documentato, direi al livello del miglior Ken Follet.

Il suggeritore (Donato Carrisi)

Un giallo noir. I personaggi hanno nomi inglesi, e anche un po’ francesi, i luoghi sono descritti ma “dove” di preciso non si sa, senza che ci si senta per questo spersi. E questa è senza dubbio un’abilità.

L’inverosimiglianza è sovrana, la psicologia dei personaggi rappezzata, eppure l’insieme, anche se faticosamente, tiene.

Vengono ritrovate (primissime pagine) le braccia mozzate di sei bambine, e poi i corpi uno ad uno. Ma forse non tutti, e forse una è ancora viva. Da qui, l’affannosa ricerca di una squadra di investigatori, il cui intreccio di relazioni non ci risparmia niente di quanto visto in mille serie tv.

La costruzione a tavolino prevale sullo svolgimento dell’azione che peraltro, con  l’immancabile collegio che ha sepolto infamie e altre simili originalità, non aiuta a continuare.

Il finale è quello della sceneggiatura dei film di questo genere: gli insospettabili di cui si scopre la natura perversa, il riscatto degli ingiustamente accusati, e l’ammucchiarsi dei colpi di scena nelle ultime pagine. Sono talmente tanti che ci si perde, e l’accumulo di sovrapposizioni anestetizza ogni possibile spirito critico, per cui alla fine va bene, dimmi come finisce che non ho più voglia di farti le pulci sulle contraddizioni e le ingenuità.

Tanto inutile che potrebbe uscirne un film di successo.

Fratelli e cani (Giorgio Molinari)

Duecento pagine che se ne vanno come il vento. Una storia ben costruita, magari un po’ “studiata”, che comunque ti tiene e ti chiede di continuare ad esser letta fino alla fine. E così è stato, per me.

Anche se il prologo – due, tre pagine: tutto il romanzo sono capitoletti brevi, nervosi, concisi – mi aveva deluso: la donna aggredita in casa che si arma di coltello per difendersi da una violenza e finisce con scopami mi sapeva troppo di quello che noi maschi ci piacerebbe le femmine provassero.

Ma poi la scrittura scorre – e pazienza se qualche volta la strada è polverosa e la pioggia fredda e fitta – e l’intreccio è avvincente.

I rimandi che mi ha suggerito sono Romanzo popolare per l’ambientazione e per il sogno in Provenza, Pulp fiction per la sparatoria in cui riescono ad ammazzarsi disciplinatamente tutti a vicenda, Mickey Spillane per la disinvoltura dei passaggi emotivi, perchè quello che conta è l’azione, e l’inverosimiglianza del comportamento della guardia (donna) forestale conta poco se la sparatoria finale alla John Woo serve a portarci all’esondazione finale che chiude il cerchio aperto da una delle primissime scene.

Infine: La carica dei 101, per l’umanizzazione dei due branchi – anche se qui si tratta di cani feroci allevati per il combattimento – che accompagnano la trama ai margini della campagna di Fiumicino.

L’autore vuole bene ai suoi personaggi, fino a far passare un’autoassoluzione “Lo abbiamo fatto perchè non avevamo scelta” che – azzardo senza rete – qualche rispecchiamento,  magari in tutt’altri contesti, potrebbe trovare nella vita vera.

PS: ho conosciuto Giorgio Molinari in un corso di sceneggiatura al quale anch’io partecipavo: la sua sceneggiatura era sicuramente la migliore, e alla fine l’unico difetto trovato fu ma chi avrà i soldi per realizzarla, oggi? Mi piace ricordare che alcuni temi sono rimasti: l’infanzia abbandonata, la fuga potendo contare solo su se stessi, la vendetta sugli adulti “cattivi” appena possibile. E il finale political correct, sia pure con uno spruzzo, ma proprio uno schizzetto, di malizia.

Questo è il suo secondo romanzo: che la realizzazione del sogno continui, dunque!