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Yuki (Flaminia Nucci)

Scorre, la scrittura scorre proprio bene e, anche se alcuni passaggi emotivo-relazionali mi sono arrivati più dichiarati che vissuti, sono arrivato alla fine con leggerezza.

La protagonista, dopo una delusione d’amore, si ritira in un posto solitario in Lapponia, vicina ad una coppia di amici di lì.

È scritto in prima persona e, potrei ricordare male, ma il nome della protagonista non è noto. La chiamerò, perciò, casualmente, F, per non confonderla con Diana, che è invece la protagonista del romanzo che F sta scrivendo, durante il ritiro in Lapponia.

Diana, con le sue storie d’amore difficili – prima la sofferenza di doversi mettere d’impegno a staccarsi da una relazione con una donna che ama ma che pretende di vivere liberamente continuando a mantenere Diana legata, poi la difficoltà di avere vicino l’amore di una persona non ancora del tutto emersa alla vita – rappresenta, alla mia lettura, la stessa F “prima” dell’ultima delusione.

La scelta della Lapponia si rivela fortunata: la lunga, ostinata, caparbia, tenera operazione di avvicinare una lince – Yuki: il titolo – ha successo, e il saluto tra F e la lince e i suoi cuccioli ha il sapore di un equilibrio ritrovato, prima del ritorno a casa.

Una piccola nota critica: della ricetta e del brano musicale che accompagnano ogni giornata non sono riuscito sempre a cogliere le connessioni con quanto stavo leggendo. Possibile pure che non fossero previste 😉 .

Leggete, regalate tranquilli, io ci ho inaugurato kindle.

Io sono il fiume (Mario Santamaria)

Un romanzo impegnativo. Già le oltre cinquecento pagine, tutte dense, dicono molto dell’impegno profuso.

La sintesi della storia sta nella seconda di copertina, perciò non mi ripeterò.

Personalmente non credo ai generi, credo ai buoni libri ben scritti, e questo è un buon libro ben scritto. Rispetto a ciò, trovo irrilevante che si svolga oggi o, come in questo caso, in un futuro indefinito, dopo una serie di conflitti, evocati sullo sfondo, che hanno prodotto uno stravolgimento dell’organizzazione sociale.

Il modello, per dirne uno , è quello di “Fuga da New York”: qui una Roma divisa in quadranti, settori, recinti, abitati da strati sociali ridefiniti dalle attitudini o dalla maggiore o minore integrazione rispetto al nuovo, fortemente esclusivo, ordine costituito.

Analogamente a Jena Plissken anche Bliss, una delle protagoniste, deve superare una quantità di ostacoli per salvarsi la vita da un qualcosa che le è stato impiantato nel cervello. Qui, più raffinatamente, non si tratta di un veleno a tempo determinato ma dell’innesto di ricordi altrui che funzionano da metastasi disgreganti. Diversamente che da Jena Plissken, Bliss non si salva soltanto con le sue capacità ma grazie all’aiuto, sopratutto ma non solo, dell’altro protagonista, Appo, genietto dei codici binari, che mi è piaciuto immaginare somigliante al Sergio Rubini di Nirvana.

Per chiudere con le associazioni che ho fatto circa le possibili ispirazioni, e qui trascuro l’imprescindibile Philip Dick, mi sembra di aver colto anche un livello di lettura che sembra voler realizzare il programma di superamento dell’homo sapiens che Harari, quello di Homo deus, preconizza.

Il mondo descritto è quello delle diverse marginalità, mentre del mondo dei potenti e dei benestanti si ha traccia solo dagli strumenti di controllo – droni, principalmente – che qua e là arrivano a rendere la vita difficile ai protagonisti.

Si svolge tutto a Roma, non sappiamo niente di che cosa ne sia del resto del mondo ma non ci viene mai in mente di chiedercelo perchè Roma è evidentemente la parte per il tutto.

C’è una parte di quasi divulgazione scientifica che viene proposta per dare credibilità alla ricerca su “che cosa è il tempo”, ai margini della fisica quantistica. Sono argomenti che, personalmente, ogni volta che incontro ho l’impressione di aver abbastanza ben intuito e che regolarmente dimentico un attimo dopo e avrei difficoltà a riproporli. Ho avuto la stessa impressione, e anche qualche momento di appesantimento, nel leggere queste parti di “Io sono il tempo”, ma capisco e apprezzo il grande impegno che c’è sotto: impegno non solo narrativo ma proprio di “comprensione”, come se dover accettare razionalmente le conseguenze del principio di indeterminazione fosse stato acquisito come necessario ma non pacificante. Confesso di essere rimasto deluso nel leggere che il presente potesse essere stato identificato di durata definita ma lascio aperta la porta alla possibilità che io non abbia ben capito.

Le parte migliori a mio parere sono le scene di azione: si vedono, se ne sentono gli odori, i suoni, se ne respirano le emozioni: un livello davvero alto di scrittura.

Considerata la già notevole complessità dell’insieme, con flashback che di continuo modificano i contesti e le convinzioni dei protagonisti circa la narrazione in cui sono inseriti, avrei risparmiato al lettore l’onere di equiparare i diversi nomi e appellativi con i quali sono di volta in volta identificati i tanti protagonisti. Ad un certo mi ci sono perso ed ho lasciato perdere ma il racconto di avventura non ha perso di credibilità nè di intensità.

Appo e Bliss sono i giovani protagonisti, ma i tre scienziati più il loro maestro, della generazione precedente che ha prodotto la catastrofe e che ora cerca di controllarla, sono forse i protagonisti veri, con i loro continui cambi di posizione esistenziale e le diverse sfere emotive: anche questi passaggi non sono facili da seguire ma da un certo punto in poi ho deciso di avere fiducia nel fatto che l’autore li avesse ben chiari in mente tutti ed ho preferito l’immersione in ciò che stava succedendo nella pagina.

Ambientare un romanzo complesso in un futuro indefinito da una parte dà spazio ad ogni immaginazione e dall’altro dà il notevole vantaggio narrativo di costruire senza alcun limite che non sia una coerenza interna. Una volta data coerenza ad una visione in cui possono coesistere piani di esistenze parallele con trasferimento di brandelli di ricordi da uno all’altro, tutto è possibile, e lo svelamento finale dei due capitoli iniziali può far girare la testa per il rutilare di sovrapposizione di narrazioni, ma il sostegno di una scrittura non facile ma sempre scorrevole e limpida fa accettare il controllo ferreo, che immagino “costoso” per l’autore, della (non) linearità della storia: ma, nella vigenza del principio di indeterminazione, forse anche questa è coerenza.

Ne potrebbe anche uscire un ben film, per quanto forse ne vedrei più adatta la trasposizione in una graphic novel e, visto che c’è già un eccellente – vedi splendida copertina – illustratore, chissà…

In conclusione: la scrittura è superba, la capacità di organizzazione drammaturgica è piena, mi piace immaginare un prossimo lavoro in cui la sfida sia affrontare i paletti di una storia ambientata in un mondo totalmente reale.

Il codice angelico (Roberto Giovagnoni – Adriano Perna)

Chi mi conosce sa che niente è più lontano da me della “angeologia”, di cui questo libro tratta.

Ne ho lette le prime pagine, sfogliate le altre, perchè mi è stato regalato, con tanto di bella dedica, da Roberto, uno degli autori, che conosco di persona.

La parola magica delle teorie spirituali / esoteriche è energia, parola attraverso la quale, spesso con accenni a teorie della fisica delle particelle e alla indeterminatezza della nostra conoscenza, si fanno passare verità che, quando ne chiedi la prova, ti trovi di fronte ad espressioni che posso riassumere sotto “fede“, nel senso che proprio per principio si tratta di verità non conoscibili dalla ragione, e quindi possibile che tu miscredente non capisca che non è la ragione nè il metodo scientifico che puoi applicare se vuoi entrarci in contatto?

Al che ci si può solo ritirare in buon ordine perchè i contesti ermeneutici sono incompatibili.

Fatta questa premessa, testimonio che gli autori sono riusciti ad esporre i loro principi tenendosi sempre su quel filo di rasoio che da una parte cade nella magia e dall’altra mantiene un aggancio al razionale.

Non ci dicono che esistono gli angeli come effettive entità ma fanno l’ipotesi che dentro il DNA di ciascuno di noi sia inscritto questo “codice angelico”, una specie di PIN (Personal Identification Number), che sta a ciascuno di noi trovare, conoscere, sviluppare e che per farlo abbiamo bisogno di una guida che ci metta in contatto con l’energia – energia, appunto – che fluisce nell’universo etc etc etc .

Messa così, il “codice angelico” non sembra tanto diverso dalla “tendenza attualizzante” che Carl Rogers ipotizza essere la spinta che ogni essere umano ha in sè per orientarsi verso il completamento e l’attualizzazione delle proprie potenzialità.

Mi limito a questo parallelo; gli autori sono ben consapevoli del debito che hanno nei confronti di teorie psicologiche e anche delle più semplici tecniche per raggiungere l’autostima etc, e infatti citazioni al riguardo non mancano. Anche il corredo di esercizi, preghiere, etc, nella sostanza non è molto diverso da tanti esercizi che si fanno per attivare questo o quell’emisfero della mente, questa o quella capacità, attitudine, e così via.

L’introduzione degli angeli come elemento di marketing, dunque? Lo penserei se non conoscessi Roberto e parte della sua storia. Roberto tiene regolarmente seminari sugli angeli – li trovate su youtube se vi va – e sempre, a me pare, riesce a mantenersi al di qua di quel filo sottile che separa i ciarlatani da persone che hanno sofferto, che hanno trovato una propria strada di crescita e che hanno l’entusiasmo di trasmetterla ad altri, avendo l’accortezza di mettere in guardia con qualcosa che a me arriva come “non ci credere fino in fondo, per me sono stati gli angeli, tu cerca la tua strada!”.

Semprechè io abbia ben colto l’essenziale, del che potete legittimamente dubitare.

Il maestro di nodi (Massimo Carlotto)

Meno di duecento pagine che scorrono lievi, anche se piene di trucidezze, perchè Carlotto scrive lieve e fa succedere un sacco di cose una appresso all’altra.

Tutto poco probabile con quei vecchi banditi con il loro codice d’onore eccetera che si trovano ad avere a che fare con l’ambiente BDSM (sado maso ma qui bello spinto).

In fondo noi che leggiamo vogliamo essere ingannati da chi scrive – non è questa la letteratura? – e Carlotto ci riesce bene.

Ogni coincidenza ha un’anima (Fabio Stassi)

Il protagonista si è inventato un lavoro che a quanto pare gli funziona: ascolta i bisogni di persone che gli si rivolgono e prescrive loro libri.

Arriva la figlia di un grande intellettuale, malato ora di alzheimer, gli chiede di capire, in base a pochissimi indizi lasciati dal padre, di quale libro possa trattarsi.

L’impresa sembra impossibile, ma il nostro è sagace e fortunato.

Se troverà il libro ed eventualmente come utilizzerà il ritrovamento o il non ritrovamento non lo scrivo, perchè è questo il filo, tenue ma bel sviluppato, delle duecento cinquanta pagine – quelle piccole formato Sellerio – del libro.

I personaggi che si alternano nello studio del biblioterapeuta servono a intervallare la storia principale che altrimenti sarebbe poca cosa; sono ben descritti, vivaci, ma del tutto inessenziali alla storia e un po’ fastidiosamente orientati a farci sapere come la pensa l’autore del mondo.

Anche i tanti libri citati – ce ne viene offerto l’elenco in appendice – mi hanno dato l’impressione che l’autore si sia messo davanti alla sua biblioteca e abbia scelto ciò di cui gli piaceva scrivere.

La storia è comunque gradevole e molto ben scritta, scivola via leggera con un finale grazioso e inesorabilmente political correct.

Che la festa cominci (Niccolò Ammanniti)

Riletto dopo qualche anno resta uno dei libri più divertenti che io abbia letto.

I satanisti de noantri.
Il parvenue che si è comprato Villa Ada per esibire la più grande festa cafonal-chic mai vista, da far impallidire Westworld, per le variazioni tematiche previste.
Il giovane scrittore che io non ci vado ma no ci vado e poi li smerdo tutti su Repubblica e intanto propone ad almeno tre donne lì incontrate di scappare nella sua casetta in Spagna.
Gli atleti russi rifugiatisi nelle catacombe di santa Priscilla in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960 che, come in Underground, non sanno che cosa è successo in superficie.
Aggiungeteci la cantante convertita, lo scrittore giovanissimo, il vecchio scrittore, il medico cocainomane, alcuni calciatori e altri personaggi di questo livello.

Ammanniti ha scritto un piccolo capolavoro di perfidia e si dev’essere lui per primo divertito come un matto.

Dimenticare (Peppe Fiore)

Una bella storia che si legge d’un fiato, un bell’esordio per Peppe Fiore, il cui “Dimenticare” ho comprato attratto da una fascetta di Nicola Lagioia, che stimo sia come autore di romanzi che come intellettuale in generale.

Tra Fiumicino, il Messico e l’Abruzzo, il protagonista Daniele cerca di proteggere come può l’improteggibile fratello Franco – e per un po’ ci riesce pure – da malviventi di mezza tacca con i quali continua a non onorare per tempo debiti.

I personaggi femminili risultano di contorno, anche se bel delineati.

Il pregio maggiore è la scrittura pulita, senza fronzoli, distesa in capitoli brevi in ognuno dei quali succede qualcosa di significativo e resta aperto un dubbio a cui una risposta arriverà non troppo lontana.

Insomma un congegno perfettamente oleato dove ogni tassello va al suo posto al momento giusto. Troppo giusto, però. Tanto giusto che, per amore del congegno, il presupposto principale, la chiave della storia, che si scoprirà alla fine, risulta di una debolezza disarmante, perchè niente di tutto ciò che è accaduto prima ha dato nemmeno una minima traccia di “quel” modo di essere del protagonista.

Temo che l’essere Peppe Fiore anche sceneggiatore (si sa dalla terza di copertina) abbia fatto prevalere il gusto della costruzione sulla necessità della coerenza interna dei personaggi.

Comunque, centonovanta pagine ben scritte e di gradevole lettura, lo aspetto al prossimo.

Resistere non serve a niente (Walter Siti)

Non conoscevo Walter Siti, ne ho letto la prima volta per le polemiche, che ho trovato e trovo assurde, sul suo ultimo romanzo “Bruciare tutto”. Ne ho letto un’intervista, ho visto che aveva vinto un premio Strega – in passato storcevo il naso di fronte ai premi, ma devo ammettere che i premi Strega che ho letto erano tutti meritevoli di essere letti, e se in Italia non si scrivono capolavori non sarà mica colpa dei premi! – ed ho deciso di provare.

“Resistere non serve a niente” è stato, infatti, premio Strega 2013.

In certi momenti mi ha fatto pensare ad American Psyco, che considero un grandissimo libro, non tanto per la violenza lì estrema e qui solo annunciata sullo sfondo e comunque non protagonista, quanto per la descrizione di un mondo di ricchi, arricchiti, aspiranti ricchi e di relazioni personali impossibili ad essere autentiche ma che nemmeno sembrano minimamente aspirarvi.

L’autore si mette in mezzo a tratti come uno dei partecipanti alla storia e lo fa con eleganza letteraria, riuscendo ad inserivi pure, senza sbavature, contatti con l’editore committente.

Scritto benissimo, fa entrare nel mondo della finanza che ci governa e riesce a rendere l’impalpabile e tuttavia stritolante potere del denaro apparente. So qualcosa di finanza e derivati e tuttavia in qualche passaggio – documentato, come si spiega nei ringraziamenti finali – mi sono perso i dettagli, ma il succo è rimasto, intrecciato con le vite disperate – nessuno escluso – dei protagonisti, che un finale con un venticello di ripresa non basta a salvare.

A me non sono particolarmente piaciuti i tasselli con personaggi o veri o fintamente nascosti, dei quali avrei fatto volentieri a meno, ma credo si sia fatto prendere la mano dalla vernice di “verità” che ha voluto dare con l’intervento in prima persona dello scrittore. A mio parere ha sottratto invece, così, autenticità alla storia.

Comunque bello, da leggere.

54 (Wu Ming)

Sempre dubbioso di questo collettivo di scrittori passati da Luther Blisset a Wu Ming, mi sono deciso a provare con questo “54”, che sta per l’anno 1954.

La trovata – assumere segretamente Cary Grant per spostare Tito verso il mondo occidentale – è carina e tutto sommato ben resa, nell’intreccio con i residui delle storie partigiane sul fronte est con partigiani combattuti nei cuori, e combattenti fra di loro, purtroppo, fra sentirsi più italiani o più internazionali e comunisti.

Il dopoguerra con i nuovi protagonisti provenienti dalle diverse e spesso opposte storie personali, un figlio alla ricerca del padre, personaggi che continuano la rivoluzione mancata con il contrabbando, insomma una quantità di materiale ottimamente strutturato da chi sa come si costruisce un intreccio.

Appunto: si costruisce. E si sente. Ho immaginato che i diversi autori si siano divisi i filoni narrativi avendo stabilito a priori i nodi di contatto, e mi riesce difficile pensare che altrimenti che così possa essere andata.

Comunque un prodotto gradevole, di lettura piacevole. Per me basta così.

Canale Mussolini (Antonio Pennacchi)

Dopo qualche intermezzo, ho letto anche Canale Mussolini. (di Canale Mussolini seconda parte dico qui).

È un libro di storia scritto vorrei dire in poesia, nonostante la prosa sia per lo più brusca, ma scorrevole come se ci fosse dietro un enorme lavoro di pulitura degli argini – tanto per restare in tema – di cui tuttavia non si sente mai il peso.

Conosciamo la famiglia Peruzzi ai primi del ‘900 e la seguiamo – mezzadri, nelle pianure ferraresi dei maledetti Zorzi-Vila – durante la prima guerra mondiale e poi lungo l’affermazione del fascismo, fino a che, rovinati dalla “quota 90”, sono costretti ad accettare di andare a bonificare le paludi pontine. I cispadani, così li chiamavano dispregiativamente gli abitanti di Sezze, Sermoneta e dei paesi vicini. Ricambiati da “marochini”. Tanti episodi di scontri e solidarietà, senza mai bene di quà e male di là.

Non sono affatto d’accordo con chi ne ha criticato la mancanza di giudizio morale rispetto al fascismo: i fatti sono visti dal punto di vista di chi li ha vissuti, nel momento in cui li ha vissuti, e questo è il solo modo di farceli rivivere, ciascuno libero di formarsi il proprio convincimento circa i giudizi.

Tutto l’arco del fascismo, con i vari personaggi storici delineati attraverso i rapporti con questo o quello della famiglia Peruzzi, scorre lungo il romanzo.

Metà famiglia fascista, metà socialista, quasi tutti inconsapevoli della storia che li attraversa e che tuttavia vivono con sangue lacrime e sudore.

Il racconto della bonifica delle paludi pontine, con la costruzione del centrale canale Mussolini, con i riallagamenti per previsioni errate e le riprese caparbie, l’Opera combattenti che regpla i flussi e la distribuzione dei poderi, restituisce la grandezza di un’impresa e la sofferenza e la fatica di chi l’ha sia progettata sia compiuta nei decenni, fra malaria e fame.

Tanti personaggi memorabili, tante pagine commoventi senza nemmeno un briciolo di pietismo.

Un grande romanzo. Una scrittura originalissima. Insieme al secondo, costituisce un punto di riferimento della letteratura italiana. Da far leggere nelle scuole, all’ora di storia.

La qualità sta fra l’Olmi de L’albero degli zoccoli e il Bertolucci di ‘900. Basta?