Quello che non ti dicono (M. Calabresi)
Pochi, come Mario Calabresi, hanno raccontato una vicenda, e insieme un periodo storico, con altrettanto equilibrio.
Mario Calabresi è stato direttore de La Stampa e di Repubblica, da dove è stato mandato via perchè “troppo equilibrato” (ovviamente non fu questa la motivazione ufficiale).
Un passo indietro: quando, per stornare le indagini sulla bomba di piazza Fontana dai fascisti – poi riconosciuti responsabili – lo stato cercò di indirizzarle verso gli anarchici, il commissario Calabresi era colui che aveva in custodia l’incolpevole anarchico Pinelli, che morì dopo essere volato giù da una finestra della questura di Milano.
Perciò il commissario Calabresi diventò, in quella stagione dolorosa, uno dei “cattivi” designati, e fu assassinato a revolverate.
Mario Calabresi è il figlio del commissario Calabresi e ha raccontato, in “Spingendo la notte più in là”, l’evoluzione della sua famiglia dopo l’assassinio del padre – 1972 – con un equilibrio più che raro.
In questo nuovo libro scrive che, dopo il precedente, aveva giurato di non tornare più su quel periodo, ma un frate dall’Algeria gli parla di una sua quasi coetanea, che ha vissuto una vicenda dolorosa rimasta dimenticata.
Quasi coetanea perchè nata dopo la morte del padre, nel 1975, a sua volta morto senza sapere che gli sarebbe nata una figlia.
Marta è la figlia di Carlo Saronio, proveniente da una delle più influenti famiglie di Milano, ricca di un impero chimico.
Carlo rifiutava i suoi privilegi e oscillava fra volontariato cattolico e istanze gruppettare rivoluzionarie, tanto da mettere a disposizione alcune residenze familiari per attività criminali/terroristiche.
Quando, anche perchè innamorato della madre di Marta, se ne stava probabilmente staccando, fu rapito, forse consenziente, forse no, dai suoi stessi compagni, che ne chiesero il riscatto.
I criminali comuni ai quali fu appaltato il rapimento furono talmente stupidi – sembra di stare in un film dei Coen – da sbagliare la dose di anestetico, tanto che Carlo morì subito. Riuscirono tuttavia a far credere che fosse vivo e a ottenere un riscatto.
La storia è quella del dramma di una famiglia, in un periodo in cui i rapimenti erano il mezzo preferito della malavita – otto in contemporanea, in quei mesi – e del dramma di una giovanissima che si ritrova da pochissimo incinta e con la famiglia del compagno, con l’unica eccezione della madre di Carlo, che la vede come un’approfittatrice.
Solo anni dopo, grazie a un pentito, il corpo di Carlo sarà ritrovato.
Il frate dall’Algeria è un cugino di Carlo, schifato dal comportamento della propria famiglia verso la madre di Marta.
Questa la storia.
Tutto sommato una storia “semplice”, che Mario Calabresi sa restituire come un appassionante giallo attuale, ricostruendo il clima, gli odori, i sapori di un periodo della nostra storia difficile da immaginare per chi non l’abbia vissuto.
La scrittura è piana e onesta, a testimonianza di un equilibrio raro.