Colibrì (Sandro Veronesi)

Una generazione perdente che si fa da parte in punta di piedi.

Di Veronesi mi piacque molto “Caos calmo”, poi rimasi deluso da “Terre rare”.
Mi ha convinto a comprare “Colibrì”, anche prima di ricevere qualche commento di lettori che considero affidabili, la recensione su Internazionale di Goffredo Fofi, notoriamente poco incline agli entusiasmi.
Perciò avevo forse maturato aspettative eccessive, da qui una parziale delusione; comunque, sia chiaro che ho letto volentieri e che ne è valsa la pena.

L’ho trovato tuttavia a tratti faticoso, per i troppi piani relazionali che si alternano e impongono al lettore di ricentrarsi, quasi a ogni capitolo.
Si passa dalla strana relazione del protagonista, Marco, con lo psicoanalista della moglie (no spoiler: è proprio l’inizio), alla famiglia di origine, ai rapporti tra fratelli e sorelle, all’amore epistolare con Luisa, alle lettere senza risposta al fratello Giacomo, alla famiglia che Marco ha costruito e, infine, alla straordinaria nipote Miraijin, figlia della figlia, che vuole rappresentare “l’uomo del futuro” e alla quale vengono attribuite qualità straordinarie, in un salto futuribile, al limite della fantascienza, che mi è sembrato un po’ giustapposto alla storia.

La terza persona si alterna alle prime persone di chi scrive le lettere: Marco a Luisa, Marco a Giacomo, Luisa a Marco. Non è sempre facile districarsi, anche per l’alternarsi continuo dei piani temporali.

Marco, per essere un protagonista, ha una caratteristica particolare, almeno nella mia lettura: sembra illuminare più i personaggi con i quali viene in contatto che se stesso. Il che sembra coerente con il fatto che a un certo punto la sua ragione di vita diventa la nipote dalle qualità non comuni: forse il tema centrale del libro è proprio il farsi da parte di una generazione perdente, verso la quale tuttavia non manca indulgenza.

Muoiono tanti personaggi, in questo libro, ma non mi sono mai sentito “toccato” dagli eventi: una certa superiore leggerezza di chi scrive sembra aleggiare sulle circostanze più drammatiche e attenuarle anche oltre, forse, la volontà dell’autore. Non lo considero un difetto, semmai la cifra stilistica che rende riconoscibile lo scrittore Veronesi.

A tratti, ho avuto l’impressione che la “costruzione” abbia prevalso sul sentimento, che pure si sente.

Sento nostalgia per i romanzi scritti nel rispetto della cronologia dei fatti, chissà se il prossimo…

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