Se avessi letto “Miele” senza conoscerne l’autore avrei scommesso su John Le Carrè. Avrei perso, ma fino alla fine – e soprattutto alla fine – avrei creduto che questo fosse un romanzo di Le Carrè.
Naturalmente, un fine analista letterario troverebbe le ragioni per smentirmi, e comunque il fatto è che il romanzo lo ha scritto Ian McEwan.
Siccome sono entrambi scrittori di cui ho letto credo tutto (di Le Carrè tutto, di McEwan quasi tutto), il fatto che mi si possano sovrapporre a me fa solo piacere. Magari entrambi si scoccerebbero di questo accostamento, ma tanto nessuno dei due lo saprà mai 🙂 .
Sicuramente di McEwan, ad ogni modo, è la capacità di entrare nell’animo femminile in tutte le sfumature e sottigliezze. La protagonista, infatti, è una giovane, poco più che ventenne negli anni settanta, che si ritrova ad essere parte di un progetto di “guerra fredda culturale” gestito dai servizi segreti inglesi.
La descrizione delle piccole meschine rivalità, i doppi tripli giochi all’interno dei Servizi, lo sfondo storico dell’IRA (quella sì che era una cosa seria…), dell’epica battaglia sindacale dei minatori poi sfociata in una terribile sconfitta, prodromo della vittoria della Thatcher qualche anno dopo, tutto questo potrebbe essere della penna di Le Carrè.
Difficile dire altro della trama senza togliere il piacere delle sorprese, sempre sostenute dal rigore della storia, mai gratuite.
Anche il sottile dubbio insinuato che il protagonista possa essere un alter ego dello scrittore è proposto con levità, e non ti fa venir voglia di “voglio vedere se può essere vero”, ma ti dà il piacere intellettuale – che però arriva alla pelle – del gioco che potrebbe essere realtà.
Perciò, sia che McEwan abbia davvero vissuto una storia del genere, sia che gli sarebbe piaciuto averla vissuta, sia che l’abbia solo inventata, resta il godimento di una storia e di pagine memorabili, come il ritorno a casa per natale della protagonista, attraverso luoghi dove l’umidità mischia ricordi adolescenziali con turbamenti adulti e ci restituisce una figura di donna con tutte le sfumature dell’arcobaleno, tendente al grigio.
Infine, a differenza che in altri suoi romanzi, dove la tragedia incombe o ha segnato le vite dei protagonisti, qui predomina le leggerezza: il finale è aperto, anche se la ricorsività proposta (potrà essere pubblicato solo fra trent’anni, quando nessuno potrà esserne danneggiat0) guida in una specifica direzione.