14Yiron, ai confini con il Libano. Essere ebreo.

Ada Sereni

Dopo un giro lungo le mura della città vecchia di Gerusalemme, partiamo per il kibbutz di Yiron, al confine con il Libano.

Saremo ospitati da Ada, cugina di una nostra amica.

Ada è un personaggio: tra gli 80 e gli 85 (civetta ancora con l’età), è arrivata in Israele con i genitori fuggiti dall’Italia, ha fatto parte dell’esercito illegale che ha combattuto contro gli inglesi, ha fondato questo kibbutz e qui è sempre tornata, pur avendo girato tutto il mondo. Ha un figlio in Australia, sta progettando un viaggio in Giappone, avrà fumato 10 sigarette in una serata, dopo una vita di insegnante ora lavora nella fabbrica di chiusure lampo del kibbutz, in cui l’attività principale è una cantina che produce più di un milione di bottiglie all’anno. Vino Kosher, e quindi con una nicchia di mercato esclusiva e garantita.

Kosher

Il kosher è un po’ come i nostri docg, o il biologico, o il biodinamico, nel senso che ciascuna di queste categorie di cibi è garantita da un’istituzione che ne dichiara la corrispondenza ai requisiti. Siccome il kosher può essere garantito soltanto dai rabbini, ecco una fonte di guadagno assicurata per i capi religiosi.

Non è questo l’Israele che sognavamo

Anche ad Ada chiedo non la speranza ma la previsione, e anche lei risponde che è molto pessimista: questi ragazzi che nascono qui e che tra i 18 ei 20 anni esercitano il potere su un popolo, che cosa faranno diventare Israele? Non è questo lo stato che volevamo. Sono soprattutto i nostri governanti a non volere la pace. Concorda con l’opinione del tappetaro palestinese che non c’è un leader in grado di prendere decisioni coraggiose, e intanto gli ortodossi e la destra si rinforzano sempre di più.

Essere ebreo/a

Le chiediamo se c’è una sinagoga, ci risponde di no, che il kibbutz è laico. Lei stessa mai stata credente. Allora che cosa significa essere ebrea? Non è una razza, perchè ci sono neri, quelli con i capelli rossi… , non è una religione, perchè ci sono ebrei – Ada lo è – che si sentono tali senza essere religiosi. Io non potrei mai “sentirmi ” cristiano, o cattolico, senza credere in queste religioni. Gli ebrei sembrano i soli a sentirsi tali indipendentemente dalla religione. Eppure la religione ne è il fondamento. Nemmeno è una “cultura”, perchè in quanto cultura anche io la sento mia. E allora? Ada sembra colpita dal fatto di non avere una riposta, o almeno di non poterla esprimere in modo che ci “arrivi”.

Mi resta un punto interrogativo enorme: sono un unicum nella storia dell’umanità? E allora non è proprio questa irriducibile differenza ad aver attirato le persecuzioni? E oggi, mantenere questa situazione di tensione permanente, non è forse un “bisogno” ineludibile? Come se potersi sentire vittima sia un modo di essere di cui non possano fare a meno.

13Gerusalemme dalle mura

Prima, o dopo, un giro sulle mura di Gerusalemme va fatto. Io dico meglio dopo, perchè si potranno riconoscere molti luoghi, cogliere collegamenti…

 

03Uno strano quartiere

Jeudith vive in una zona residenziale, circondata da un tondo – il tutto sarà un paio di chilometri di diametro – di rete metallica, a cui si accede da un solo punto controllato da un portiere-guardiano.

Sta un po’ in the middle of nowhere, circa a metà strada fra Tel Aviv e Gerusalemme. È una casa bassa – tutte qui intorno lo sono – calda ed accogliente.

L'esterno della casa di Jeudith

L'interno della casa di Jeudith, dove ci ha ospitato

La sensazione all’arrivo è comunque di spaesamento: una trascuratezza generale, data dal fatto che non tutti gli edifici – sembrano tanti cubi variamente combinati – sono abitati, alcuni sono in costruzione, altri sembrano in abbandono, e tutto questo proprio nello spazio immediatamente circostante la casa di Jeudith.

di fronte alla casa di Jeudith

di lato alla casa di JeudithI due cani che si annusano attraverso le sbarre mi suggeriscono facili metafore sulla condizione di questi popoli.

La briscola in cinque (Marco Malvaldi)

Primo di una serie di gialli nell’elegante blu-Sellerio che – ho appena letto – stanno per diventare anche un prodotto tv  (con Valerio Mastrandrea nella parte del protagonista).

Il protagonista è Massimo, barrista – due erre: tra le cose più godibili gli interventi in tosco/livornese – con una sua etica professionale che non gli permette di servirti un cappuccino caldo alle tre del pomeriggio d’estate. Nel bar vicino alla pineta e al mare in un luogo immaginario – Pineta – fra Livorno e la Versilia, dove appunto è tutta una pineta lungomare.

Ne ho letti di seguito altri due, perchè scorrono gradevolmente e Massimo – ingegnere (o chimico: insomma un tecnico di alto livello) prestato al barrismo – è simpatico quanto basta e sfigato quanto basta: tradito in passato dalla moglie sembra diventato asessuato, nonostante l’attrazione per la bella Tiziana che ogni tanto lo sostituisce quando è in cerca di assassini.

Il colore è dato dai quattro terribili vecchietti – tra cui il suocero – che gli occupano lo spazio migliore all’aperto del bar e con il cui aiuto – a volte casuale – risolve assassinii di ragazze lasciate in un cassonetto, scienziati giapponesi avvelenati in un convegno e così via, lasciandone il merito al piuttosto ottuso commissario della zona.

Che dire? Si leggono in un fiato, sotto l’ombrellone vanno benissimo.

12Il giorno più difficile: Betlemme ed Hebron

Betlemme

Per andare da Israele ai territori sotto controllo palestinese si va liberamente (forse per Gaza, controllata da Hamas, è diverso). Per tornare, invece, dai territori in Israele ci sono controlli minuziosi.

Andiamo dunque verso Betlemme con un autobus di linea dalla porta di Damasco. Già lungo la strada appare il muro che separa Israele dai territori palestinesi.

Betlemme, per chi non ha interessi religiosi, sembra una cittadina come un’altra. Sulla piazza, come ogni settimana, si raccolgono i parenti degli 11.000 palestinesi in prigione in Israele. Penso alla striscia gialla che Jeudith porta sulla macchina per solidarietà con il soldato israeliano catturato (gli israeliani dicono “rapito”) da Hamas.

Hebron

Il tassinaro che da Betlemme ci porta a Hebron la mattina insegna e, con sette figli, il pomeriggio arrotonda. Il muro visto dalla parte palestinese è pieno di murales. Ce ne colpisce uno, la cui forma è simile alla scultura degli israeliani uccisi in un attentato, anche se il significato è del tutto diverso


La strada fra Betlemme e Hebron è punteggiata da “insediamenti” israeliani: cittadine nuove di zecca, in cui vengono mandati i nuovi arrivati da Ucraina, Etiopia, etc, costruite su territorio palestinese, a loro volta circondate da muri. A macchia di leopardo, sicchè i muri spezzettano sempre di più il territorio palestinese.


Nel 1929 gli ebrei che vivevano in Hebron furono massacrati dagli arabi e costretti a fuggire. Dopo il 1968 (guerra dei 6 giorni) hanno “ripreso” pezzi di Hebron, e ora circa 600 israeliani vivono in 5/6 piccole enclave, dentro una città di 500.000 palestinesi, protetti da 4.000 soldati.

Incontriamo scale che salgono alle finestre: si tratta di una casa che aveva la porta dalla parte opposta, e che è stata murata perchè nelle case di fronte alla ex porta ora ci sono coloni israeliani.

Nel suk, una volta fiorentissimo di commerci, sono aperti forse tre negozi su 10: vi si affacciano finestre di case di israeliani.


Hebron è città sacra a tutte le religioni, perchè contiene le tombe di Rachele, Abramo, Isacco e qualche altro personaggio biblico. Da quando, alcuni anni fa, un ebreo ortodosso uccise con un mitra 15 mussulmani in preghiera e ne ferì circa 200, moschea sinagoga e chiesa sono state rigidamente divise. Entriamo nella moschea e fa un certo effetto affacciarsi da una griglia alla tomba di non mi ricordo chi e sentire un canto che viene dagli ebrei dalla parte opporta del mausoleo.

Interno moschea di Hebron: tomba di Abramo (?)

Usciamo dalla moschea e il nostro tassinaro ci porta verso la sinagoga: i soldati israeliani di guardia ci fermano, dicono che noi possiamo proseguire ma lui no. Lui dice che viene sempre a portare i turisti, al che si fanno consegnare il tesserino del taxi e ci tengono per una mezz’ora fermi. Noi potremmo proseguire ma uno siamo preoccupati per lui e due abbiamo lasciato cose nostre sul taxi e non sapremmo come tornare. La mezz’ora di attesa ci pare indice di quelle piccole prepotenze quotidiane che i palestinesi subiscono.
dove hanno fermato il tassinaro. Il veicolo blu è di osservatori internazionali

Parte del check point per rientrare da Betlemme a Gerusalemme

Il giorno dopo il museo sull’olocausto la domanda sale: come è possibile che un popolo che solo 60 anni fa ha subito quello che ha subito, non si renda conto dell’oppressione che sta esercitando su un altro popolo?

 

11Al centro delle contraddizioni

“King David”: il più importante albergo di Gerusalemme

Dove ci siamo concessi una colazione lussuosa, e tutto sommato abbordabile, per una volta.

Su quel bricco ho lasciato gli occhi...

Oggi qui vengono ricevuti i capi di stato. Nel 1946 era la sede del comando inglese, che aveva il protettorato sulla Palestina per conto dell’ONU. Un gruppo indipendentista guidato da Begin (sarà poi – 1977/83 – primo ministro israeliano) fece saltare un’intera ala dell’albergo. 94 morti.

La lapide che ricorda il fatto precisa che il comando inglese non volle tener conto dell’avvertimento ricevuto e non volle sgombrare l’edificio.

Comunque: coloro che provocarono questa strage, erano terroristi o patrioti? Com’è diversa la storia a seconda del punto di vista da cui la si guarda.

Yad Vashem: il museo dell’olocausto

Si trova in un edificio bello e severo. All’interno è vietato fare foto, ma davvero non viene voglia di farne. Queste sotto sono tratte dal sito ufficiale.

Tanti film, tanti libri, ma vedere tutto in fila, cronologico e con spiegazioni dal tono neutro sui pannelli che accompagnano le immagini, gli oggetti, le storie raccontate dai sopravvissuti, fa proprio male.

Ho imparato alcune cose nuove:

  • ero convinto che la stragrande maggioranza degli ebrei uccisi fossero tedeschi, mentre i tedeschi furono poco meno (difficile anche usare le parole: scrivere “meno”, anche solo per spiegare, mi sembra incongruo) di 200.000, mentre i polacchi circa 3 milioni, i russi quasi un milione, i rumeni circa seicentomila…..Mi colpisce che nessuno sia stato ucciso nei paesi del nord Africa, con l’eccezione di 5mila in Tunisia.

Per ogni stato: in blu numero ebrei residenti "prima", in nero numero ebrei uccisi.

  • durante le persecuzioni, gli stati occidentali in gran parte chiusero le frontiere. L’Australia dichiarò di essere un paese privo di problemi razziali e che non voleva importarne. Una nave carica di profughi arrivò a Cuba, con l’intenzione di arrivare agli Stati Uniti, ma fu costretta, dal rifiuto degli Stati Uniti di accoglierla, a tornare in Europa.
  • anche dopo la fine della guerra, e la conoscenza, ormai, dei campi di sterminio, una nave diretta in Palestina fu dirottata a Cipro e i profughi furono rinchiusi in un campo inglese.

Mi rinforzo in una convinzione: non ci sarebbe oggi uno stato di Israele se non ci fosse stato l’Olocausto. I palestinesi pagano oggi per la ferocia prima e l’avarizia poi dell’intero occidente.

 

10Masada e il Mar morto

Masada
Andandoci, per la prima volta con una macchina a noleggio, ci rendiamo finalmente conto delle zone A-B-C in cui sono divisi i territori palestinesi. Tutta la zona del Mar morto, infatti (Masada sta circa a metà del lungo lago salato, a più di 400 metri sotto al livello del mare), dalle cartine dovrebbe essere totalmente palestinese. Invece siamo nella zona “C”, quella meno densamente popolata, controllata da Israele.

La fortezza di Masada, dove gli ebrei asserragliati si suicidarono in massa pur di non cedere all’assedio dei Romani (che, peraltro, li avrebbero crocefissi, se li avessero presi vivi), sta in una posizione che lascia senza fiato. Difficile per le parole competere con le immagini.

Masada sta in cima all'altura sulla destra. Dalla base sulla sinistra parte una funivia

Volendo, si può salire a piedi con il sentiero del serpente. Un'altra volta, forse.

Il colore grigio beige che mi aveva colpito all’arrivo a Tel Aviv l’ho ritrovato a Gerusalemme e qui capisco da dove viene: è il colore del deserto, le cui montagne sovrastano il Mar morto. Nel mio immaginario il deserto è sabbia, invece qui è roccia.

da Masada verso l'interno

da Masada verso il Mar morto

Il Mar Morto

Dopo una sosta in un kibbutz / agriturismo, eccoci nel mar morto. Fa caldo, l’acqua è calda, non sembra granchè diversa dal mare-mare. Ci entro normale, passettino passettino, mi bagno cosce petto schiena, e poi mi esibisco in un numero che non dimenticherò: appoggio in avanti e una bracciata una a rana tanto per bagnare tutta la pelle. Ad occhi aperti, come al mare. Con 30% di sale risulta un tantino diverso. Praticamente cieco, mi giro cercando di raggiungere la riva – 4 / 5 metri – mentre annaspo cercando di recuperare le cioce. Ce la sto facendo, quando una giovane signora russa mi arriva davanti con un secchiello pieno di acqua dolce con cui posso pulirmi gli occhi, prima di arrivare alle docce. Forte, eh? Vabbè… Ci rientro, più che cauto, e scopro che si può stare seduti nel’acqua, ma che è difficile fare il “morto a galla”. Meglio: il morto a galla è pure facile, il difficile è tirarsi sù, una volta stesi, perchè la spinta da sotto è talmente forte che si riesce solo con grande fatica a raddrizzarsi.

La frutta
Delle mele granate ho detto. Fragole grandi come kiwi, e saporitissime, datteri di 5-7 cm, mandarini grandi come arance e sempre succosi. Piantagioni intensive di banane, il cui sapore invece non mi pare un granchè.

09Gerusalemme

I luoghi sacri
Gerusalemme è divisa in quattro zone: armena, ebrea, mussulmana, cristiana.

Oggi (domenica 23) entriamo dalla zona ebraica. La mia sensazione è di “trovarmi a casa”. Me lo spiego con l’arredo urbano che potrebbe essere per molti versi un borgo toscano, con i localini curati, cose così. Mi dico che questo viaggio ha cambiato non tanto il mio punto di vista quanto la percezione di come gli israeliani si sentono. Gruppi di tre ragazzi in divisa, sempre con enormi mitraglioni, si spostano con una cartna come per una caccia al tesoro. Chiediamo che cosa fanno e sia si esercitano nell’orientarsi sia imparano a conoscere vicoli e vicoletti.


Il muro del pianto
La mia sensazione di poco prima cambia, al ricordo del fatto che, per ottenere la larga piazza di oggi, nel ’68, dopo aver conquistato Gerusalemme, gli israeliani distrussero i quartieri arabi a ridosso.

Sono colpito non tanto dalla divisione a destra le donne a sinistra gli uomini, quanto dal fatto che lo spazio per le donne è meno di un terzo ed è semipieno, mentre quello per gli uomini è semivuoto.

Sulla destra il passaggio da cui i non-mussulmani possono accedere alla zona mussulmana

Mi stranisco proprio quando, per passare alla zona mussulmana, bisogna aspettare in fila sotto al sole perchè aprono – motivi di sicurezza, dicono – solo mezz’ora ogni due giorni.

La spianata delle moschee
E’ il posto più bello di quelli visti finora. Dev’essere molto frustrante, per chi va lì a pregare, essere sotto il controllo di soldati israeliani. Nelle moschee (il limite è solo per queste della spianata) entrano solo i mussulmani.

Qui famiglie fanno merenda, gruppi di ragazzini giocano a palla: maleducazione o laicità? Certo che il contrasto con il muro del pianto è grande.


Tappeti palestinesi
Un amico americano ci aveva segnalato un negozio di tappeti gestito da palestinesi, nella parte cristiana di Gerusalemme. Padre e figlio, molta chiacchiera, facciamo anche qualche buon affare (sono sicuro che loro lo hanno fatto migliore).

Ci raccontano delle piccole prepotenze della vita quotidiana, come andare in autobus a trovare un amico fuori di Gerusalemme e, al ritorno, al posto di blocco, vedere la fila dei palestinesi scorrere lentissima, e quando ne sono passati 25 su 50 la postazione – dice chi fa il controllo – non funziona più e quindi passate dal cancello 1 al 3, per cui il nostro che stava ormai vicino a passare si ritrova tra gli ultimi, ma dopo un po’ la scena si ripete: dal cancello 3 al cancello 5, e non puoi parlare con nessuno perchè è tutto blindato e chi sta là dietro decide per te ma non parla con te.

“E poi le tasse sono alte” – e questo tutti i commercianti in tutto il mondo lo dicono – “ma il mio amico qui vicino, ebreo, va con l’avvocato ed ottiene giustizia, io potrei farlo, ma so che poi mi tartasserebbero, perciò preferisco fare il pianto e trattare, che è quello che l’impiegato ebreo vuole.”

“Insomma loro sono più forti, noi vogliamo solo vivere in pace, ma credo che loro non siano pronti per la pace: dopo Camp David c’era l’accordo al 90%, ma quando Rabin tornò fu accolto dagli integralisti e il parlamento cambiò cose essenziali di quell’accordo, che saltò.”

Anche a lui chiedo come crede – non come spera – che la situazione evolverà. Anche lui mi dice che non vede soluzioni finchè Israele continuerà ad annettersi territori pezzo pezzo. Dice che ora non li cacciano direttamente, ma creano difficoltà di ogni genere in modo che i palestinesi siano indotti a “scegliere” di andarsene. “vorrebbero solo due categorie di palestinesi: i miliardari e i lavoratori alle loro dipendenze”.

Anche qui non commento, ascolto. E’ davvero difficile capire.

Spremute di melograno
Ottime e abbondanti. Meglio se miste con arance. Con gli spremitori a leva, come in Sicilia, che spremono pure un po’ di buccia e ti lasciano quel tanto di allappato in bocca.

08Kibbutz al confine con Gaza

Jorahm
Andiamo a trovare Jorahm, un archeologo di origine marocchina che vive in un kibbutz al confine con la striscia di Gaza. E’ un personaggio, un bel tipo: ha vissuto per 15 anni in un kibbutz: tutti i guadagni si mettono insieme e la comunità pensa alle spese comuni … insomma non è proprio così banale.

Che cos’è il kibbutz
In origine era un approccio socialista, adesso non è più così da nessuna parte anche se si chiamano ancora kibbutz. Molti vivono nei kibbutz perchè, allo scopo di preservarne l’esistenza, ci sono particolari agevolazioni fiscali.

I kibbutz che abbiamo visto sono tutti completamente recintati.

Jorahm ora vive con la famiglia nella parte “privata” del kibbutz, cioè in villette che del kibbitz condividono soltanto il recinto.

Adesso fa l’archeologo sia in Israele, facendo ricerche sui terreni prima che si costruisca, sia in Polonia, su un campo di sterminio.

Vivere al confine con Gaza
Ci spiega che il pallone ormeggiato a terra funge da avvistamento per i razzi che arrivano da Gaza.

Ogni casa ha una stanza a prova di razzo, e dal momento dell’allarme hanno dai 20 ai 40 secondi per rifugiarvisi. Per chi sta fuori ci sono altri piccoli bunker. Ci mostra le protezioni sopra e di lato ad una scuola, un campo di pallacanestro all’aperto sormontato da una struttura di cemento.

bunker contro i razzi, vicino alla fermata dell'autobus

Percepisco a pelle la paura di vivere così, e non posso fare a meno di pensare ai bambini dell’asilo palestinese morti sotto un bombardamento, dove temo che non disponessero, e non dipongano ora, di protezioni nemmeno simili.

Anche stavolta non mi sento di dirlo. Alla fine ho deciso di ascoltare, di capire per quanto possibile.

Jorahm è parte della sinistra israeliana, fosse per lui gli insediamenti non ci sarebbero e semmai ne caccerebbe i coloni, e tuttavia dice quando ti cade un razzo a 50 m da casa – e ci mostra il buco – che devi fare? Avevo amici a Gaza, gente con cui prendevo il caffè, poi Hamas ha rovinato tutto. Gli dico ma 20 o 10 anni fa Hamas non c’era, perchè è cresciuto? Lui dice di volere solo la pace, che non è interesse di nessuno vivere così, ma come si fa se quelli vogliono distruggerti? Capiscono solo la forza.

Come eludere la sorveglianza militare

Ci porta con la jeep all’esterno del recinto, ma la strada è bloccata da automezzi militari

Così fa un giro strano, si fa aprire un cancello che dovrebbe restare chiuso,

finchè arriviamo vicini alla postazione di un carroarmato, che al momenot non c’è, che punta su Gaza.

Infine, un monumento sonoro: batacchi di legno intervallati a tubi di acciaio, tanti quanti gli anni – 18 – del ragazzo del kibbutz ucciso da un razzo.

Gaza sullo sfondo

Gli chiedo “come pensi – non come speri – che le cose possano evolvere?”.

Mi è venuta questa domanda, e la ripeterò ad ogni singolo ebreo e palestinese con cui verrò in contatto in questo viaggio. La risposta sarà diversa solo per qualche sfrumatura, ma la sostanza sarà identica.

Sempre peggio, è la risposta. Noi ormai siamo abituati a vivere nel timore, se ho un appuntamento con qualcuno arrivo mezz’ora prima e mi guardo intorno per cercare le vie di fuga in caso di necessità….

Sono abbastanza avvilito.

Il servizio militare
Obbligatorio per tutti, maschi e femmine, dai 18 anni per 3 anni. Poi uno o due mesi all’anno fino a 25 anni. Il gruppo iniziale resta tale per tutto il tempo, così si forma una specie di comunità, che risponde collettivamente ai bisogni dell’esercito. Quindi non importa se qualcuno manca purchè sia assicurato quanto serve, il che significa che se qualcuno mancherà qualcuno lavorerà di più, per cui controllo sociale reciproco misto a solidarietà.

In realtà è obbligatorio solo per gli ebrei. Arabi e cristiani, anche se cittadini di Israele, non vi sono obbligati. Possono chiedere di farlo. Questo ho capito, da risposte che a volte mi sono sembrate un po’ reticenti, come se si mettesse a nudo una contraddizione grande.

Supermercati e pistole
All’ingresso c’è dovunque una guardia privata che ti chiede se hai una pistola nella zaino (molti le portano).

02Tipica colazione ebraica a Jaffa

Colazione tipica ebraica

È a base di uova. Non vi dico a Jaffa a mezzogiorno, dopo un inferno per parcheggiare tra la polvere, nel locale che Jeudith ci dice tipico, una bella strapazzata di uova e pomodori servita direttamente nella padella. Ok: una volta si può fare.

Jeudith, che non vuole far fotografare, presa con il trucco.

Dopo un giro per il suk,

un buon caffè in un bar molto trendy. Singolari le effige di vari personaggi storico politici sulle bustine dello zucchero.

Mi è rimasta impressa la ragazza soldato dai capelli rossi. È stata l’inizio di una riflessione, che non ho esaurito, sui rapporti tra razza, religione, popolo, cultura…

Sulla strada del ritorno, la struttura dove viene ospitato chi si trasferisce in Israele, per imparare l’ebraico: