Due libri di montagna
Me li hanno regalati, per il compleanno, due persone speciali. Un libro ricevuto in regalo, che non ho scelto, lo accolgo sempre con una iniziale, vaga diffidenza. La stessa con la quale li ho cominciati a leggere e volevo lasciarli dopo qualche decina di pagine.
E invece sono arrivato alla fine, tutte e due le volte molto, molto preso, come raramente mi capita con scrittori di ben altro spessore.
“Il richiamo del K2” è il racconto del tentativo, da parte di Tamara Lunger, unica scalatrice donna in quella spedizione, fra le più forti del mondo, di arrivare in cima al K2, già raggiunta in estate, in invernale. Ha la stessa forza di un libro di Messner, con l’aggiunta della presa di consapevolezza di essere una donna, non più un “maschiaccio”, e cioè una donna che voleva essere come un uomo. A ogni angolo ci sono scelte difficili da fare. Ce la potrò fare con la luce ad arrivare al secondo campo o meglio fermarsi qui? Con il tempo incerto, si può provare oggi, perché dopodomani si deve ripartire? Continuo con il compagno di cordata con cui sono venuta, e con il quale non siamo d’accordo su troppe cose, o decido di salire con il nuovo arrivato spagnolo, che conosco poco ma che mi pare affidabile? È una storia vera, non svelo come finisce, anche se qualcuno potrebbe averlo letto sui giornali di gennaio 2021.
“L’ora più fredda” è un romanzo, scritto da Paolo Paci, un forte alpinista. Qui alpinista alla lettera, perché le sue imprese sono sopratutto sulle Alpi, e sulle Alpi si mettono alla prova i tre ragazzi. Il più forte è quello di città, insieme, piano piano si sperimentano in salite sempre più impegnative. Le storie personali si intrecciano con la stagione politica milanese degli anni settanta, quando Contessa e Stelutis alpinis si mischiavano nei cori dei rifugi. L’ultimo capitolo si svolge qualche decennio dopo, e in una baita solitaria chiude tutte le storie.
Storie di formazione, storie di montagna, quella seria. In entrambi i casi arrivano dentro la fatica, le mani ghiacciate, l’appiglio che non si trova, la soddisfazione selvaggia di avercela fatta, il dolore per le perdite.
Mi piace andare in montagna, anche se non sono mai stato uno scalatore; mi piace la fatica di arrivare, anche se le difficoltà superate non hanno niente a che fare con quelle dei due libri. Non ho quella smania di superare i limiti che spinge gli scalatori veri, e tuttavia credo di capirla: si chiama passione, qualcosa che ti travolge e ti spinge quasi oltre la volontà e gli affetti più cari.
“… senza alcuna necessità né scopo. Se non respirare. Scalare. Vivere”
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