sempre tornare (Daniele Mencarelli)
Anche il terzo romanzo di Daniele Mencarelli è dichiaratamente autobiografico.
In “sempre tornare”, rispetto ai due (**) precedenti, Mencarelli torna indietro nel tempo, ai diciassette anni dell’adolescente vicino all’età adulta che, partito con quattro amici per divertirsi in una scorribanda lungo i locali della riviera romagnola, a un certo punto si stufa e decide di tornare indietro da solo, in autostop, con appresso la valigia.
Si tratta dunque di un romanzo di formazione on the road, dalla riviera romagnola ad Ariccia, dove Daniele vive.
Abbiamo perciò questo ragazzo che fa l’autostop con una valigia in mano, che non ha una lira perché ha dimenticato il portafoglio con soldi e documenti nella macchina degli amici, che quindi deve inventarsi ogni giorno come mangiare, come bere, dove dormire, senza potersi cambiare.
Il romanzo si svolge in una sequenza di incontri con ogni genere di tipo umano, in una natura che cambia a ogni angolo, in situazioni mai prevedibili, affrontando ogni tipo di difficoltà, qualche pericolo, qualche bellezza naturale e umana.
Mencarelli ha, fra le qualità di scrittore, una analoga a quei pittori che, con pochi tratti, delineano una figura e con qualche particolare ne fanno capire il carattere.
“Un vecchio malvissuto”, mi è rimasto impresso da Manzoni, che descrive un facinoroso sulla piazza.
“Un bulletto di sessant’anni” dice tutto di un ex corridore di moto, piegato sui ricordi di un passato pure glorioso e oggi incattivito da un presente poco esaltante con vicino una compagna che dev’essere stata bellissima e che lo continua ad assecondare senza essere ricambiata.
La sigla PAS corrisponde a Persone Altamente Sensibili (dall’inglese HSP): si tratta di persone che tendono a sentirsi sovraccaricate di emozioni e che perciò vivono sia le profonde empatie che gli scarichi estremi. Daniele Mencarelli potrebbe forse rientrare in questa definizione: la sensibilità dei suoi personaggi risulta effettivamente sempre estrema. È ciò che me ne ha fatto amare la scrittura, sempre “partecipe”, dei suoi due primi romanzi. In “sempre tornare” questa caratteristica continua ad apparire, ma stavolta mi è sembrato che sia esposta con troppa frequenza, a rasentare – solo rasentare, senza arrivarci – il compiacimento. È possibile che chi legga questo come primo romanzo non abbia la stessa mia impressione.
La conclusione, che a me arriva più come acquisizione dello scrittore di oggi che del protagonista diciassettenne, è che le tante esperienze di questo viaggio sono state possibili, e alla fine comunque ben vissute, perché Daniele sa di avere dietro una famiglia con affetti solidi, dalla quale sa che sarà sempre accettato senza necessariamente essere sempre approvato.
Sulle copertine, i titoli di tutti i tre romanzi sono scritti in minuscolo, così come nome e cognome dell’autore: improbabile che sia casuale, solo l’autore potrebbe spiegarlo.
(**)
Si tratta dunque di un romanzo di formazione on the road, dalla riviera romagnola ad Ariccia, dove Daniele vive.
Abbiamo perciò questo ragazzo che fa l’autostop con una valigia in mano, che non ha una lira perché ha dimenticato il portafoglio con soldi e documenti nella macchina degli amici, che quindi deve inventarsi ogni giorno come mangiare, come bere, dove dormire, senza potersi cambiare.
Il romanzo si svolge in una sequenza di incontri con ogni genere di tipo umano, in una natura che cambia a ogni angolo, in situazioni mai prevedibili, affrontando ogni tipo di difficoltà, qualche pericolo, qualche bellezza naturale e umana.
Mencarelli ha, fra le qualità di scrittore, una analoga a quei pittori che, con pochi tratti, delineano una figura e con qualche particolare ne fanno capire il carattere.
“Un vecchio malvissuto”, mi è rimasto impresso da Manzoni, che descrive un facinoroso sulla piazza.
“Un bulletto di sessant’anni” dice tutto di un ex corridore di moto, piegato sui ricordi di un passato pure glorioso e oggi incattivito da un presente poco esaltante con vicino una compagna che dev’essere stata bellissima e che lo continua ad assecondare senza essere ricambiata.
La sigla PAS corrisponde a Persone Altamente Sensibili (dall’inglese HSP): si tratta di persone che tendono a sentirsi sovraccaricate di emozioni e che perciò vivono sia le profonde empatie che gli scarichi estremi. Daniele Mencarelli potrebbe forse rientrare in questa definizione: la sensibilità dei suoi personaggi risulta effettivamente sempre estrema. È ciò che me ne ha fatto amare la scrittura, sempre “partecipe”, dei suoi due primi romanzi. In “sempre tornare” questa caratteristica continua ad apparire, ma stavolta mi è sembrato che sia esposta con troppa frequenza, a rasentare – solo rasentare, senza arrivarci – il compiacimento. È possibile che chi legga questo come primo romanzo non abbia la stessa mia impressione.
La conclusione, che a me arriva più come acquisizione dello scrittore di oggi che del protagonista diciassettenne, è che le tante esperienze di questo viaggio sono state possibili, e alla fine comunque ben vissute, perché Daniele sa di avere dietro una famiglia con affetti solidi, dalla quale sa che sarà sempre accettato senza necessariamente essere sempre approvato.
Sulle copertine, i titoli di tutti i tre romanzi sono scritti in minuscolo, così come nome e cognome dell’autore: improbabile che sia casuale, solo l’autore potrebbe spiegarlo.
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