Dissonanze parallele (Daniela Petrassi)

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È la prima volta che parlo di un libro autopubblicato.

È andata così: ho incontrato, su un gruppo Facebook, un post dell’autrice che recensiva brevemente un romanzo di Tolstoi che non conoscevo e mi è venuta voglia di ringraziarla.

Poi ho avuto la curiosità di vedere chi fosse e sul suo profilo ho trovato solo foto di libri, inframezzate da alcuni incipit di un suo libro di racconti.

Gli incipit mi sono piaciuti e ho deciso di scaricarli su kindle.

Si tratta di racconti molto brevi, tranne l’ultimo che da solo occupa circa la metà delle pagine. L’ultimo non l’ho ancora letto.

La scrittura scorrevole che mi aveva inizialmente attratto ha confermato le promesse: i racconti si fanno leggere piacevolmente, le situazioni sono delineate, i personaggi riconoscibili.

Hanno, a mio parere, un limite comune: manca la sorpresa, la parola o la frase che ci regalino un punto di vista inaspettato; scorrono piani, leggeri, infine prevedibili.

In “Contrappunto”, i punti di vista opposti dell’uomo e della donna sanno di clichè, senza che nessuna delle contraddizioni della coppia venga affrontata, se non sciolta, in “Extrasistole” il contesto è ben reso, ma il finale mi è arrivato più interrotto che sospeso; ne “Il canto del cigno” l’atmosfera emotiva è coinvolgente, salvo che finisce esattamente come dalle prime righe era prevedibile che finisse, ma al lettore qualche – anche piccola – sorpresa va regalata, secondo me.

Arrivato a “Rimpianto”, l’uomo sciamannato e la donna sofferente mi sono cominciati a sembrare essere una regola; mi sarei anche aspettato qualche guizzo che ci facesse scoprire qualcosa della misteriosa “Moldava”, sempre chiusa e assente, e non è chiaro il motivo della presenza di due fratelli, quando soltanto di uno dei due viene restituita la reazione.

Dopo “Rinascita”, mi sono cominciato a convincere che forse è proprio la delusione del lettore che l’autrice cerca: il lettore, infatti, dopo aver seguito la protagonista che viene scelta per un servizio televisivo su “donne che si sono rialzate”, aver seguito il brutto periodo dopo la perdita del lavoro, non saprà niente proprio di come la donna si sia rialzata.

Può essere una cifra stilistica, di non voler essere consolatori; secondo me, varrebbe tuttavia la pena osare qualcosa di più, visto che la scrittura sorregge sempre bene.
Magari mi ricrederò dopo aver letto l’ultimo racconto, che immagino di maggior impegno, data la lunghezza, rispetto agli altri.
Intanto, come prima prova, complimenti!

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