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La festa dell’insignificanza (Milan Kundera)

Stalin racconta di come, andando a caccia, vide su un albero ventiquattro pernici e di come, avendo solo dodici cartucce, potè colpirne solo dodici.

Siccome a Stalin piacevano molto le pernici, tornò a casa, si procurò altre dodici cartucce e così potè prendere le altre dodici.

Stalin raccontava questo aneddoto di vita vissuta e poi si ritirava in una stanza da dove poteva ascoltare i commenti dei presenti che nel frattempo si erano raccolti nel pisciatotio per sbeffeggiare di nascosto il grande capo, alla cui presenza nessuno si era azzardato a muovere obiezioni e anzi tutti avevano applaudito la sua sagacia e abilità venatoria.

Una donna vuole suicidarsi. Si butta nel fiume, ma un giovane si tuffa per salvarla. La donna non vuole essere salvata, quindi si divincola e, visto che il ragazzo insiste a volerla salvare, fa in modo di tenerlo sotto finche non smette di respirare. A qual punto la donna ci ripensa, decide che vale la pena continuare a vivere ancora un pò e nuota verso riva.

La festa dell’insignificanza, come credo tutti gli scritti di Kundera dopo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” – se finisce il mondo e devo salvarne solo uno io salvo questo – non è un vero romanzo. È un saggio di filosofia e un esercizio di scrittura sublime.

Non sempre colgo i nessi, che peraltro nel profondo sento esserci.

Qui, una pagina sull’io come volontà e rappresentazione e sul disprezzo.

Il manifesto del libero lettore (Alessandro Piperno)

Il sottotitolo è “Otto scrittori di cui non so fare a meno”.

Va letto da chiunque ami leggere, sopratutto se ama anche scrivere.

“Dopotutto, i libri sono strumento di piacere, come la droga, l’alcol, il sesso, non il fine ultimo della vita”

Sono molto d’accordo che l’unico criterio, con una parvenza di oggettività, per decidere della qualità di un romanzo sia la sua longevità. Aggiungo che, da un punto di vista più personale, è la voglia di rileggere che ci fa dire quanto amiamo uno scrittore. (Il record, per me, è di Kundera).

Meno d’accordo che quando diciamo che un autore scrive sempre lo stesso libro (ho il fondato dubbio che Piperno potesse riferirsi a sè stesso) sia perchè non lo amiamo abbastanza.

Non mi vengono, così all’istante, paragoni letterari, ma credo di rendere l’idea se dico che Woody Allen è un genio che fa sempre lo stesso film, ma che Stanley Kubrik è un genio superiore per come si è espresso al massimo in ogni genere.

Ed ecco gli otto autori, e che cosa mi ha dato per ciascuno la lettura che ne fa Piperno:

  • Tolstoi: ho sempre avuto un rapporto difficile con i russi, penso che alla fine mi deciderò a leggere Anna Karenina
  • Flaubert: resterò sazio della Madame Bovary letta da giovane.
  • Stendhal: anche qui, “La certosa di Parma” mi basterà.
  • Austen: non mi è venuta voglia nemmeno stavolta di avvicinarmici; non mi massacrate, so che non è un criterio, ma della riduzione cinematografica di Orgoglio e pregiudizio non ho retto nemmeno il primo tempo.
  • Dickens: non ne ho letto niente, e non me ne è venuta voglia.
  • Proust: che ci posso fare? Preso in mano tante volte, mai riuscito ad andare oltre la seconda pagina.
  • Svevo: mi rifaccio, voglio rileggere al più presto “La coscienza di Zeno”, che ricordo godibilissimo gà da giovane.
  • Nabokov: Lolita l’ho già letto due, forse tre volte. Non escludo una quarta.

Temo che alla fine di questa ricognizione risulterò un terribile ignorante, ma il manifesto del libero lettore mi ha assolto a priori!

L’immortalità (Milan Kundera)

Riletto dopo tanti anni.
Dopo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” Kundera non ha più scritto veri e propri romanzi, o almeno non più nel modo classico.
“Il romanzo non deve somigliare ad una corsa ciclistica, bensì ad un banchetto con molte portate”, scrive, lasciando come soavemente scivolare, tal quale il leggero movimento della mano della donna che fa da incipit, proprio il suo romanzo più famoso.
Di Kundera amo l’amarezza profonda che accompagna una passione contenuta e però forte e sempre presente. E l’ironia distaccata che colpisce con una punta così accuminata che te ne accorgi solo dopo che ti ha penetrato il fegato a fondo. E l’amore per l’Europa che ha potuto conoscere dal centro geografico politico e culturale, come chi è vissuto fra Praga – per nascita – e Parigi – per scelta obbligata, e come chi ne vede la grandezza passata e l’ineluttabile declino presente.
La storia sono tante storie, cucite che non sembrano collegate quando un nome buttato là ti rivela che quel nuovo personaggio è proprio quello o quella tale di cui capitoli dietro e anche se puoi fare fatica a ricollegare proprio tutto sai che le connessioni ci sono, sono profonde e ti restano comunque dentro.
Appaiono anche Goethe, Beethoven, Hemingway e sono – senza tempo – fra i personaggi di oggi, come se ne avessero già catalogato da tempo ogni sentimento.
Mi accorgo che quanto ho scritto finora può valere per tutto Kundera, ed in effetti è l’autore che ho letto di più, di cui ho letto tutto più volte, e leggerlo mi dà un piacere non esprimibile fino in fondo a parole.
Continuo e rileggerlo, infatti, sapendo che troverò ogni volta qualcosa di nuovo.

Fuga senza fine (Joseph Roth)

Libro letto tanti anni fa, ora riletto.

All’inizio con un po’ di fatica, e mi stavo cominciando a dire magari allora ti era piaciuto ma adesso mi sa che ti arriva su altre corde e non è detto che valga la pena continuare.

Invece ho ritrovato tutto intero quel vago ricordo di personaggi che, tra le due guerre, passano come inebetiti nella vita, senza mai sapere perchè sono in un posto e se hanno voglia, o motivo, di restarci o di cambiare. Eppure hanno attraversato, e vissuto da dentro, la rivoluzione russa, la Berlino degli anni ’20 con dodici locali per omosessuali (il che non mi aspettavo proprio, in quel periodo storico), la Parigi nel massimo del fulgore culturale.

Un’ironia feroce, che mi ha ricordato quella – più leggera nella forma ma non meno ficcante – di Musil, o di Kundera e che talvolta sfoga nell’invettiva.

“Trovò nei suoi lineamenti levigati e ben curati quella fredda stupidità che somiglia tanto alla bontà soave, alla grazie gentile, all’inconsapevole gioia di vivere, quella desolante, incantevole, elegante stupidità che s’impietosice del mendicante al margine della strada e schiaccia con ogni suo passo leggero migliaia di vite”

Sembra l’epitaffio del – nostro – mondo occidentale, con un centinaio d’anni di anticipo.

Ottima idea, averlo ri-letto.

Il nostro traditore tipo (John Le Carrè)

m/

Credo di aver letto tutto Le Carrè. Il che, per quanto mi riguarda, è vero soltanto anche per Kundera.

Anche se Le Carrè ha scritto soltanto romanzi di spionaggio (più un giallo, poco riuscito), non lo considero uno scrittore “di genere”, ma un grande scrittore.

Anche ne “Il nostro traditore tipo” c’è tutto quanto me lo fa amare: personaggi credibili con spessore psicologico sempre ben definito, una storia un cui un outsider (questo soprattutto nei romanzi scritti dopo il 1989: prima, i protagonisti sono soprattutto professionisti dei servizi) si trova in qualcosa di cui non può afferrare le dimensioni e tuttavia decide di navigarci, anche se ciò comporterà rischi estranei alla propria vita usuale.

La storia è credibile e raccontata in quel modo che fa venire voglia che arrivi la sera per scoprirne il seguito. Insomma, uno di quei libri che danno la frenesia e i timore – perchè: e poi che cosa leggerò? – di arrivare alla fine.

Le Carrè è da leggere tutto, senza eccezioni.