Lacci (Domenico Starnone)
Un libro disperato.
Lo capisco, definirlo “disperato” può non attrarre, e tuttavia vale la pena leggere questo ultimo romanzo di Domenico Starnone.
Ne lessi, e rilessi – uno dei libri più divertenti che io abbia incontrato – “La scuola”, agli esordi, poi uno o forse due altri romanzi che non mi hanno lasciato traccia; questo “Lacci”, invece, mi ha colpito per il pessimismo cosmico che trasmette, vestito di uno stile sempre accattivante e piacevole.
Una coppia va in crisi: lui si è innamorato di una ragazza più giovane e vuole viversi questa esperienza. Niente di più banale, eppure i bei romanzi non sono dati dal raccontare storie nuove, ma dal come vengono raccontate. E Starnone sa raccontare, sa tenere l’attenzione viva, la curiosità sveglia.
Ci saranno evoluzioni, naturalmente, che qui non racconto. Ci sono, oltre a marito, moglie, amante di lui, due figli, che da bambini patiscono l’assenza del padre e da adulti si confrontano sulle identità dei genitori, e infine un gatto, con un suo ruolo nella narrazione.
Benchè il finale sembri aspirare a trasmettere un senso di vitalità e spensieratezza, non si salva nessuno. L’impressione è che l’autore non li sopporti proprio, i suoi personaggi, come se il suo approccio allo stare al mondo avesse esaurito tutte le energie a cercare di capirlo e ci avesse rinunciato, senza essersi arreso al fatto che, “capire”, non si può.
“Se tu te lo sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie“. Questo è l’incipit-
“Ti mostri affettuoso e intantio sfoghi i cattivi sentimenti per vie traverse“, dice la moglie del marito.
“Mio fratello è un uomo finto… sa mimare bene tutti i sentimenti senza mai provarne nessuno”, dice la sorella del fratello, da adulti.
Si legge in un soffio.
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