12Il giorno più difficile: Betlemme ed Hebron
Betlemme
Per andare da Israele ai territori sotto controllo palestinese si va liberamente (forse per Gaza, controllata da Hamas, è diverso). Per tornare, invece, dai territori in Israele ci sono controlli minuziosi.
Andiamo dunque verso Betlemme con un autobus di linea dalla porta di Damasco. Già lungo la strada appare il muro che separa Israele dai territori palestinesi.
Betlemme, per chi non ha interessi religiosi, sembra una cittadina come un’altra. Sulla piazza, come ogni settimana, si raccolgono i parenti degli 11.000 palestinesi in prigione in Israele. Penso alla striscia gialla che Jeudith porta sulla macchina per solidarietà con il soldato israeliano catturato (gli israeliani dicono “rapito”) da Hamas.
Il tassinaro che da Betlemme ci porta a Hebron la mattina insegna e, con sette figli, il pomeriggio arrotonda. Il muro visto dalla parte palestinese è pieno di murales. Ce ne colpisce uno, la cui forma è simile alla scultura degli israeliani uccisi in un attentato, anche se il significato è del tutto diverso
La strada fra Betlemme e Hebron è punteggiata da “insediamenti” israeliani: cittadine nuove di zecca, in cui vengono mandati i nuovi arrivati da Ucraina, Etiopia, etc, costruite su territorio palestinese, a loro volta circondate da muri. A macchia di leopardo, sicchè i muri spezzettano sempre di più il territorio palestinese.
Nel 1929 gli ebrei che vivevano in Hebron furono massacrati dagli arabi e costretti a fuggire. Dopo il 1968 (guerra dei 6 giorni) hanno “ripreso” pezzi di Hebron, e ora circa 600 israeliani vivono in 5/6 piccole enclave, dentro una città di 500.000 palestinesi, protetti da 4.000 soldati.
Incontriamo scale che salgono alle finestre: si tratta di una casa che aveva la porta dalla parte opposta, e che è stata murata perchè nelle case di fronte alla ex porta ora ci sono coloni israeliani.
Nel suk, una volta fiorentissimo di commerci, sono aperti forse tre negozi su 10: vi si affacciano finestre di case di israeliani.
Hebron è città sacra a tutte le religioni, perchè contiene le tombe di Rachele, Abramo, Isacco e qualche altro personaggio biblico. Da quando, alcuni anni fa, un ebreo ortodosso uccise con un mitra 15 mussulmani in preghiera e ne ferì circa 200, moschea sinagoga e chiesa sono state rigidamente divise. Entriamo nella moschea e fa un certo effetto affacciarsi da una griglia alla tomba di non mi ricordo chi e sentire un canto che viene dagli ebrei dalla parte opporta del mausoleo.
Usciamo dalla moschea e il nostro tassinaro ci porta verso la sinagoga: i soldati israeliani di guardia ci fermano, dicono che noi possiamo proseguire ma lui no. Lui dice che viene sempre a portare i turisti, al che si fanno consegnare il tesserino del taxi e ci tengono per una mezz’ora fermi. Noi potremmo proseguire ma uno siamo preoccupati per lui e due abbiamo lasciato cose nostre sul taxi e non sapremmo come tornare. La mezz’ora di attesa ci pare indice di quelle piccole prepotenze quotidiane che i palestinesi subiscono.
Il giorno dopo il museo sull’olocausto la domanda sale: come è possibile che un popolo che solo 60 anni fa ha subito quello che ha subito, non si renda conto dell’oppressione che sta esercitando su un altro popolo?
Caro Stefano, sono appena tornata da un viaggio tra Israele e Territori e purtroppo ti posso dire che a Hebron la situazione è forse peggiorata. Per quanto riguarda il massacro nella Moschea, a me hanno riferito 29 palestinesi uccisi e non 15 come scrivi tu.
In ogni caso, in tutta questa drammaticità, ciò che mi fa sorridere è che il nostro amico “Viva Israele” qui non ha voluto rilasciare dichiarazioni.
un caro saluto
Nicole
cara Nicole, scusa il ritardo nella risposta, mi era sfuggita la segnalazione di wordpress del tuo post.
Mi dispiace che le cose siano peggiorate, del resto anche solo leggendo i giornali da qui è facile immaginare che sia così.
Come mi hai trovato?
Stefano