La scuola cattolica (E. Albinati)

Attraverso un quartiere, una scuola, un delitto, un’analisi del maschile, da dentro.

Tre sigle percorrono questo romanzo di più di mille e quattrocento pagine: QT, SLM, DdC.
Rispettivamente, il quartiere Trieste, il san Leone Magno, il delitto del Circeo.

Anni settanta, tre ragazzi incontrano due ragazze, le portano in una villa sul Circeo, le seviziano per due giorni fino a ucciderle. Le mettono nel portabagli della macchina e tornano a Roma a prendersi un gelato. Una delle due ragazze però ha solo finto di essere morta, batte dall’interno del portabagli, qualcuno la sente, viene salvata, due dei tre ragazzi vengono immediatamente arrestati, del terzo non si saprà più niente fino a oggi.

Ci arriviamo dopo più di quattrocento pagine. In realtà, le pagine sui fatti dei delitti – ce ne sarà un altro – sono davvero poche e senza mai che si indulga in quel genere di descrizioni che fanno la fortuna della cronaca nera dei giornali.

Sono nato in quel quartiere, so dov’è il SLM anche se non l’ho frequentato ma sono stato in un collegio gestito da religiosi, conosco quel clima, quel genere di persone perchè, dopo aver abitato altrove, ho lavorato lì vicino e i miei figli hanno frequentato un asilo del quartiere e poi le elementari a Villa Paganini.
Albinati mi ha restituito in pieno quel clima, con in più una quantità di sfaccettature le più diverse.

L’autore ci è nato, ci è vissuto, ha frequentato il SLM e ha conosciuto gli autori del DdC, i loro fratelli e sorelle, gli amici, i genitori, gli insegnanti. Ha sentito il bisogno irrefrenabile di scrivere quando uno dei tre, dopo aver scontato anni di galera ed essere uscito per buona condotta in semi libertà – era diventato consulente psicologico – aveva ammazzato due donne, madre e figlia, la figlia di quattordici anni. Di nuovo senza alcun motivo che lo posso fare, lo faccio.

Eppure non è la riflessione sui delitti il centro del libro. Ne è invece lo spunto per un’analisi profonda, molto profonda, del mondo maschile, in un percorso a spirale con le curve che si allargano sempre di più fino ad abbracciare, in questa ricerca, la borghesia, la classe media, la religione e la sottile arte di rovesciare il senso comune per cui, per dirne solo una, chi muore passa a miglior vita.

Due capitoli, in particolare, dicono del grande scrittore.

Dopo aver fatto complessi ragionamenti sulla quasi ineluttabilità genetica del maschio a essere stupratore e assassino, un capitolo descrive una scena di sesso, bella, vera, alla fine della quale “Le sue natiche rilucevano chiare nel buio, e lei sembrava morta, non si muoveva più, non respirava.“.

Sul finale, l’autore bambino in settimana bianca si ammala, un prete amorevole se ne prende cura, noi vediamo come se ne prende cura ma non sappiamo come se ne prende cura.

L’autore – presente in prima persona nel romanzo – non si fa sconti, ma davvero non se ne fa, non come quelli che si trattano malissimo mentre strizzano l’occhio al lettore: visto, come sono del tutto trasparente anche nel peggio di me?

Sembra spietato, verso i suoi personaggi / persone, tranne che verso la famiglia Rummo, della cui tragedia racconta in un altro bellissimo capitolo, e che ritrova sul finale, alla messa di natale di mezzanotte,  che gli dà l’occasione di concludere il romanzo con una parola inaspettata, che qui non rivelerò.

Non è una lettura leggera, ma è una lettura che prende, che fa venir voglia di andare avanti perchè è vero che sta esprimendo lo stesso concetto ma lo sta facendo con parole nuove, con sempre un aggiunta di significato, un approfondimento marginale ma vero. È uno di quei libri che quando lo hai finito ti lascia la nostalgia di un’esperienza che è passata e che è stato così bello viverla.

I maschi dovrebbero leggerlo per specchiarvisi, come ho cercato, non senza difficoltà, di fare, le donne dovrebbero leggerlo per imparare qualcosa sul maschile e poterlo, qualche volta, compatire.

___________________

Il disperato bisogno di senso, tipico del romanzo, trionfa nelle conclusioni che noi tiriamo sul nostro passato,
fornendo un alibi fantastico per qualsiasi cosa sia accaduta ma anche per quelle che debbono ancora accadere; in
fondo la letteratura è un’assicurazione sulla vita per abbandonare il tentativo di costruirsene una diversa, di
costruire un altro me stesso migliore o più coraggioso,

È questo, sempre, ogni romanzo: la narrazione di un’infelicità.

 

 

 

 

1 commento

Trackbacks & Pingbacks

  1. […] seviziano qualcuno fino alla morte. Dunque, è il maschile che deve interrogarsi. Così come ne “La scuola cattolica” che, scavando nel delitto del Circeo, decostruisce spietatamente, e ne mostra le viscere aperte, […]

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento