La scopa del sistema (David Foster Wallace)

Un romanzo sconclusionatissimo. Consapevolmente sconclusionato. E se penso che l’ha scritto a ventiquattro anni resto ammirato anche dalla padronanza di tanto materiale.
Una storia quasi non c’è: la nonna scappata dall’ospizio con altri venticinque vecchietti è qui e là evocata ma ne perdiamo le tracce, che pure sembrano portare al Grande Deserto (artificiale) dell’Ohio, la cui costruzione – il momento della decisione – è descritta in un esilarante capitolo che da solo vale il libro.
Superato un momento di stanchezza per quella che mi sembrava una dispersione, ho smesso di sforzarmi di identificare i protagonisti, di seguire le evoluzioni delle loro interazioni relazionali e sono rimasto immerso nel piacere delle situazioni paradossali e della lingua sorprendente. Il pappagallo che intercala il dialogo tra i due fidanzati con pezzi della conversazione svoltasi nello stesso luogo poche ore prima tra uno dei due e (forse) l’amante è un pezzo di bravura che dà un gusto ma un gusto! Quando poi il pappagallo diventa la voce di dio di un predicatore televisivo siamo proprio oltre. E il centralino telefonico con le sue diramazioni viventi, le due aziende concorrenti alla ricerca del mangime (!) per bambini che dia migliore dipendenza…
Insomma quando arrivo vicino alla fine mi dico e adesso come la conclude e dopo l’ultima pagina sono triste che non ce ne siano altre cinquecento.

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