Karoo (Steve Tesic)

Uno sceneggiatore di successo in permanente fuga da se stesso

Karoo è uno sceneggiatore di grande successo: i suoi interventi sono considerati miracolosi nel riuscire a rimettere in piedi un film zoppicante, nel far diventare un grande successo quella che poteva essere una storiella, nel rendere almeno accettabile qualcosa di penoso.

Per qualche mistero della chimica e della fisica, a un certo punto della sua vita Karoo può bere senza limite e senza ubriacarsi ma, siccome tutti lo conoscono come “uno che beve”, finge ogni volta di essere ubriaco per compiacere gli interlocutori e non indagare oltre circa il suo corpo.

La caratteristica principale di Karoo è la mancanza di un bypass fra se stesso e la realtà.

Questo può essere osservato attraverso due, complementari, modalità comportamentali: in certe circostanze sa esattamente che cosa davvero vuole ma agisce altrimenti; in altre, sa esattamente che cosa l’altro si aspetta da lui, glielo promette, glielo giura, e fa regolarmente altro.

Karoo, in effetti, riscrive continuamente la sceneggiatura della sua vita.

Con la quasi ex moglie, che lo conosce a fondo e lo svela senza pietà – il capitoletto che parte da pag. 282 è un capolavoro a se – ha un divorzio in corso senza che si facciano veri passi avanti.
Al figlio adottivo poco più che ventenne, che si ostina a voler credere alle promesse del padre, continua a rifilare buche clamorose.
Va, solo perchè vuole pubblicamente sbranarlo per le sue note nefandezze, all’appuntamento con il feroce produttore di Hollywood, e si ritrova sedotto e coinvolto nello scempio dell’ultimo capolavoro, di cui riconosce la grandezza artistica, del famoso regista, morente.

Nel flm del famoso regista gli sembra di individuare qualcosa che lo induce a mettersi alla ricerca della madre naturale del figlio.

Le vicende che seguiranno, dove la mancanza di bypass fra sè e la realtà produrrà situazioni fra il tragico, il divertente, lo squallido, l’inverosimile, sono il clou del romanzo. Gli avvenimenti saranno tali che un famoso giornalista decide di scriverci un articolo, va alla ricerca dei protagonisti, di chi li ha conosciuti e li conosce, e il risultato è tale che “con un minimo di allenamento ce l’avrebbe fatta a diventare anche in privato, ai suoi stessi occhi, la persona che era ritenuta in pubblico.

Il finale è degno del personaggio, che ha tanti di quei lati pessimi che non possiamo fare a meno di provarne compassione, mista a un pizzico di simpatia per la sua vitalià inesauribile.

PS se qualcuno trova una corrispondenza con la sorprendente, per Adelphi, copertina…
PPS grazie a Selia che me l’ha segnalato.

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