La sezione profonda (Mario Santamaria)

Quattro racconti molto ben scritti, fra loro diseguali per dimensione e struttura e tuttavia con alcuni fili in comune.

Di “Addio alla carne” mi è piaciuto il finale semi aperto, un po’ alla Butch Cassidy, anche se lì la fine era chiara mentre qui resta indefinita, perchè non l’avventura di una rapina – in sè poco credibile – è il tema, ma la condivisa insofferenza al mondo dei quattro personaggi.
Mi è venuto in mente Butch Cassidy, e resto con il dubbio che questo genere di associazioni filmiche – ce ne saranno molte altre – siano tutte dentro di me o che, almeno qualcuna, oltre a quelle esplicitate, stia pure nella testa o nel subconscio dell’autore.

In “Vino di donna” il protagonista, nella sua semi-stupidità, è il personaggio che più naturalmente può esprimere la violenza primordiale che da tutti i racconti sembra risultare il motore principale del mondo, anche se la scrittura la contiene, questa violenza, la trattiene anche quando le esplicita.

“Come fosse tua” è una bella storia, che forse avrebbe beneficiato di un maggiore approfondimento, ma capisco che la “lunghezza” del racconto è sempre a doppio taglio e non sempre è facile scegliere la giusta misura.

“La sezione profonda”, che dà il titolo alla raccolta ed è il racconto più lungo, potrebbe essere il trattamento per un episodio di “The black mirror”. La storia è molto ben costruita, di quelle che “lo voglio finire non mi posso addormentare proprio adesso!”. Qualche credito potrebbe essere riconosciuto anche a Dexter. Particolare inquietante, che mi ha fatto dubitare per un attimo della mia ferma convinzione circa la casualità degli avvenimenti: quando ho cominciato a leggerlo stavo ascoltando le variazioni Goldberg, anche se da un’interprete diversa da Glenn Gould. E qui l’ultima associazione: chiuso nella gabbia, con la mordacchia, pronto ad attuare il piano per liberarsi, ne “il silenzio degli innocenti” Hannibal sta ascoltando le variazioni Goldberg.

L’attenzione ai personaggi, la chiara intenzione di disegnare ciascuno con forme ben definite, mi fa pensare che possa essere maturo il passaggio al romanzo: c’è la scrittura, c’è la capacità di costruire storie, what else?

Meritano più che una citazione i bellissimi disegni di Alberto Graia, che impreziosiscono l’edizione.

Per Isabel (Antonio Tabucchi)

Una bella sorpresa in libreria, incontrare un testo inedito di Antonio Tabucchi. Anche questo un racconto lungo – non capisco il bisogno dell’editore di farlo passare per romanzo – a cerchi concentrici, a mandala dice Tabucchi.

Il protagonista è alla ricerca di senso, forse di perdono, sulle tracce di Isabel, scomparsa misteriosamente dopo essere entrata in clandestinità nel Portogallo di Salazar, forse morta, forse finta morta, forse chissà.

La ricerca ci fa incontrare personaggi e luoghi, ciascuno dei quali fornisce un pezzetto di verità, una briciola di Pollicino sulla strada di Isabel.

Sia il protagonista sia Isabel sono leggeri, vogliosi di o disponibili a scambiare conoscenza ma lontani dalle passioni, aerei.

Dice la nota finale della curatrice che Tabucchi lo teneva nel cassetto da diversi anni, che ne aveva parlato, forse ci stava rimettendo mano prima di ammalarsi e morire, ed io ammiro l’integrità morale di non mandare in giro qualcosa di cui non era evidentemente ancora del tutto convinto, e che invece a me arriva come un regalo inaspettato, allo stesso livello del resto della sua opera.

Da leggere, senza riserve.

PS: mi sono soffermato ad analizzare alcune pagine (da 102 a 106) che contengono una sequenza di dialogo tutta nel corpo di soli tre paragrafi, e mi sono messo a sottolineare le espressioni verbali con cui la parola passa all’uno e all’altra, e questo è il risultato:

osservai—

disse

 

dissi—

continuò

 

dissi—

continuò

 

dissi—

continuò

 

continuò

 

ripetei—

disse

 

chiese

 

risposi—

rispose

 

risposi—

disse

 

pregai—

continuò

 

sussurrò

 

risposi—

continuò

 

disse

 

risposi—

continuò

 

dissi—

disse

 

ripetè

 

dissi—

disse

 

disse

 

rassicurai—

continuò

 

chiese

 

risposi—

continuò

 

chiese

 

risposi—

chiese

 

dissi—

chiese

 

risposi—

confermò

 

 

 

Su quarantadue, ben trentasei sono sostanzialmente “neutre” (dissi/e, continuai/ò, chiesi/e, risposi/e) e soltanto sette hanno una valenza più significativa (osservai, pregai, sussurrò, rassicurai, confermò, ripetè).

Mi sono messo a fare questo elenco perchè all’inizio avevo notato quasi soltanto i dissi / disse, ed ero sorpreso di come il tutto scorresse comunque fluido e piacevole, nonostante le ripetizioni che in qualsiasi scuola di scrittura sarebbero state decisamente represse.

Mi sono anche chiesto con quale criterio uno scrittore scelga di differenziare i dialoghi con una iniziale – ” << etc oppure preferisca mantenerli nel corpo generale. Al momento non ho risposta. Anche come lettore non saprei. Penso che abbia a che fare con l’intenzione di staccare o di dare continuità. Da approfondire

Il tempo invecchia in fretta (Antonio Tabucchi)

Tabucchi è stato amore a prima vista, quando incontrai le prime raccolte di racconti. Scrittura elegante, sempre qualcosa di sospeso nell’aria, mai una chiusura banale, un residuo indeterminato era garantito, e con questo la non pacificazione, la non risoluzione, quindi l’apertura a qualcos’altro che sta a te cercare. Se pure ci fosse.

Quest’ultima raccolta di brevi racconti non potrebbe che essere sua. Nel senso che Tabucchi è uno “scrittore-Mozart”,  di quelli, cioè, che alla prime note non puoi non riconoscere l’autore.

Non so come sia morto, tendo a non “sapere” troppo dell’uomo rispetto all’autore.

A poco più di settant’anni, tuttavia, oggi c’è di media ancora tempo a sufficienza davanti anche per fare progetti. Quindi immagino una malattia, e da questi racconti credo si sentisse, o sapesse di essere, vicino alla fine.

Sono tutti, infatti, racconti di vecchi, e la vecchiaia occhieggia dal titolo.

Non li si può leggere senza sapere che cosa succede – è successo – nel mondo. Tabucchi è un autore esigente con i suoi lettori. Questo mi piace, anche se qualche volta mi restituisce qualche abisso di mia ignoranza. E, quindi, qualche curiosità in più.

Il romanzo mai scritto: l’ho sempre sostenuto, che Tabucchi abbia scritto solo racconti, e che anche “Sostiene Pereira” fosse un racconto lungo, sbrodolato a superare le duecento pagine da un editore che non aveva saputo fare di meglio che aumentare il formato dei caratteri allargare i margini e inzepparlo di pagine vuote fra un capitolo e l’altro. E qui, la conferma: “… quel romanzo che tutti si aspettano, prima o poi, l’editore, i critici, perchè certo, dicono, i racconti sono splendidi, e persino il finto diario è un testo di prim’ordine, non c’è dubbio, ma il romanzo, quando ce lo scrive un vero romanzo?”

Tabucchi, così, se n’è andato senza aver scritto un romanzo.

Ma perchè avrebbe dovuto farlo, se è stato un grande scrittore di bellissimi racconti?

Sonata a Kreutzer (Lev Tolstoi)

Chi non ha, almeno una volta nella vita, sognato di uccidere la moglie (o il marito, fidanzato/a, etc)? Magari ne ha solo desiderato la morte, per non dover prendere la decisione di lasciarlo/a?

Sonata a Kreutzer è la storia di un uxoricidio effettivo raccontato dall’assassino – assolto perchè il tribunale riconoscerà che aveva agito per motivi di onore – ad un passeggero incontrato casualmente in treno.

Ho letto abbastanza sconcertato: tutta la prima parte è un concentrato di luoghi comuni sul matrimonio tomba dell’amore e sulla misogenia: “…chi fa la prostituta per un periodo di tempo limitato viene disprezzata da tutti, e chi lo fa per periodi più lunghi gode del massimo rispetto.” Vero è che non conosco i costumi russi del periodo, e quindi non sono in grado di valutare se quelli che oggi mi appaiono luoghi comuni allora potessero essere letti come concetti  avanzati.

Un primo effetto, comunque, è un sospiro di sollievo: un po’ di strada verso un mondo più civile l’abbiamo fatta. Poi mi è venuto un dubbio: forse Tolstoi non si identifica con il protagonista, e lo vuole ridicolizzare. Dal tono dell’insieme mi pare poco probabile, e l’impressione che mi resta è quella di un alter ego che sfoga nella scrittura ciò che non mette in pratica per motivi morali, sociali o che so io.

Dunque, la prima parte è la descrizione dei disastri del matrimonio.

Nella seconda, inopinatamente, irrompe invece una gelosia – che a me pare tanto irragionevole quanto lontano affettivamente il protagonosta si sente dalla moglie – che porterà alla tragedia finale. Tale irragionevolezza mi ha fatto considerare l’ipotesi che il tema del racconto sia non tanto la donna e il matrimonio quanto dove possono portare sentimenti non controllati dalla ragione.

Forse in queste diverse, tutte possibili chiavi di lettura, sta la grandezza del racconto, che mi sono goduto anche per alcuni particolari perfidi, come, nelle pagine finali: la preoccupazione del marito assassino, mentre sta sventrando la moglie, di non risultare ridicolo se corresse dietro al rivale a piedi scalzi e, poco dopo, mentre medita se usare contro di se la pistola, l’attenzione ad infilarsi almeno le pantofole quando lo avvertono che la polizia sta arrivando.  

Questa è l’acqua (David Foster Wallace)

Racconti. Mi rendo conto, a distanza di una decina di giorni da quando ho finito di leggerli, che di nessuno ricordo la trama.

Di tutti ricordo i personaggi, le atmosfere, le situazioni.

I racconti di David Foster Wallace una trama ce l’hanno: è che a me è rimasto impresso altro: una scrittura movimentata, allusiva e descrittiva insieme. Con tutta la gamma dall’ironia al sarcasmo.

Ecco qua: “Onassis, sul suo yacht …. rimugina davanti a un succo di sedano nell’angolo bar, seduto su uno sgabello di teak. Il sedile dello sgabello e la superficie del bancone sono rivestiti di raffinatissima pelle grigiazzurra ricavata dallo scroto di capodoglio sotto la supervisione personale della signora O. Onassis gira i cubetti di ghiaccio con il grosso dito.”

Da rileggere, prima o poi.

Racconti di Cechov

Finito di leggere Le Carrè, privo stavolta di quel piccolo capitale di libri nuovi che di solito mantengo e reintegro a mano a mano, mi aggiro per  le mensole e scovo una raccolta (con Repubblica di qualche anno fa) di racconti di Cechov.

Confesso la mia difficoltà con i russi: Memorie del sottosuolo e Delitto e castigo letti di recente, La morte di Ivan Il’ic… mi pare nient’altro. Il ricordo che ne ho, soprattutto per  Dostoevskij, è di pesantezza per questa libidine di scavo interiore e per il moralismo di fondo che mi è sembrato di percepire.

Cechov è stato invece una bella scoperta: distacco pur nella partecipazione alle vicende dei personaggi, comunque mai giudicati, leggerezza di scrittura, finali a sospensione.

Perciò, ho scovato “Il gabbiano” – regia per la tv di Bellocchio – e presto me lo guarderò.