Mi chiamo Lucy Barton (Elizabeth Strout)
Prima di comprare un libro sempre ne sfoglio qualche pagina, ne leggo qualche periodo, e basta poco per farmelo lasciare lì.
Mi chiamo Lucy Barton non mi aveva respinto e nemmeno granchè attratto. Lo comprai perchè vidi che l’autrice aveva scritto anche Olive Kitteridge, che non ho letto ma dal quale è stato tratto un mini serial televisivo che mi piacque molto.
Questo sarebbe, credo, più difficile da rendere in cinema; o televisione, anche se a me pare che la sovrapposizione cinema/tv sia ormai consolidata, con la sola eccezione delle mega-produzioni da vedere con effetti speciali su grande schermo.
La storia è minima – una figlia al capezzale della madre in ospedale, ricordi… – e, recuperando le mie orecchiette sul margine basso delle pagine, il tema di fondo mi sembra sia una riflessione sullo scrivere, di cui ecco qualcosa:
- “se uno scrive un romanzo lo può sempre riscrivere, ma se vivi per vent’anni con una persona il romanzo è quello, non lo puoi riscrivere con un altro”
- “ciascuno di voi ha soltanto una storia, scriverete la vostra unica storia in tanti modi diversi. Non state mai a preoccuparvi, per la storia. Tanto ne avete una sola”
- “se la vostra storia ha un lato debole affondateci i denti e affrontatelo prima che possa accorgersene il lettore”
- “se mentre scrive questa storia sentirà che sta proteggendo qualcuno, si ricordi: c’è qualcosa che non va”
Direi che è valsa la pena leggerlo – 150 pagine leste leste – anche solo per queste mini perle editoriali.
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