La regina degli scacchi
Una bambina orfana che diventa donna attraverso un’ossessione – gli scacchi – che diventa la sua salvezza.
Il titolo originale era “Gambetto di donna”, che è una tipica sequenza di mosse di apertura degli scacchi, ma “La regina degli scacchi” sicuramente ha reso meglio sul piano marketing, e non risulta affatto forzato.
Dopo la morte della mamma in un incidente/suicidio, Beth va in un orfanotrofio femminile dove incontra, in uno scantinato, un custode che le insegna gli scacchi.
Beth, anche per l’effetto di tranquillanti che allora – anni ’60 – venivano somministrati regolarmente a tutti gli ospiti, “vede” la scacchiera e i movimenti dei pezzi sul soffitto, quando non riesce a prendere sonno.
Diventerà brava e poi bravissima, fino a sconfiggere i migliori prima al torneo del paesetto e poi al mondo – i russi – a casa loro.
Detta così sembra una storiella come tante, e invece mai gli scacchi sono stati rappresentati con tale intensità sullo schermo.
Chi ci gioca, anche se non c’è mai il tempo di osservare una partita e nemmeno una singola posizione, lo capisce ma, visto il successo, immagino che anche a chi non conosca gli scacchi sia arrivata la tensione che circola, la volontà di annientamento dell’avversario insieme al piacere sublime di avere trovato la giusta combinazione di mosse o di aver intuito la strategia giusta per quella posizione o per quell’avversario.
Gli scacchi attraversano tutto il racconto, ma la storia è quella della crescita di una bambina alla quale solo l’ossessione degli scacchi permette, senza autodistruggersi nelle dipendenze, di diventare giovane ragazza e poi donna, prima con una madre adottiva alcolista e poi totalmente sola.
Ci sono anche gli uomini, nella vita di Beth, e forse non sono la parte più riuscita della serie, perchè inesorabilmente tutti bravi ragazzi che si comportano tutti nel modo giusto al momento giusto, eppure nell’insieme – nella confezione, se si vuole – nessuno sembra mai stonato o fuori posto.
Qualche piccola americanata da happy end non nega la drammaticità vera, sentita, dell’evoluzione di Beth che, dopo aver battuto il bambino campione russo, che vuole diventare campione a sedci anni, gli chiede e poi, a sedici anni, che cosa farai della tua vita?
Tanti episodi di scacchisti che sono nella storia degli scacchi vengono richiamati, ed emerge, anche dalle scelte di chi è molto bravo ma capisce di non poter mai esserlo “abbastanza”, che gli scacchi sono forse l’unico gioco in cui la fortuna non conta e in cui ognuno può scoprire i propri limiti.
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