La ferocia (Nicola Lagioia)

Feroce è feroce, il titolo è il suo.
Un palazzinaro pugliese, che fa crescere la propria azienda fino al successo internazionale. Moglie e quattro figli tutti coinvolti, ciascuno a suo modo, nelle nefandezze necessarie, quasi deterministiche, alla crescita.
Nel sud dove i poteri sono quelli mischiati dei grandi professionisti, dei baroni, dei magistrati, dei funzionari piccoli o grandi purchè abbiano una qualche capacità di interdizione sui processi decisionali.
Comincia con una tragedia, un incidente, e per tutto il libro ci chiediamo perchè vogliano farla sembrare qualcosa di peggio di quello che è.
Piano piano lo capiremo, e saremo portati quasi a farcene una ragione.
L’autore schifa palesemente i suoi personaggi, e però a tutti vuole anche un po’ bene, almeno a quelli della famiglia, di ciascuno esprime la carica di umanità, non ci sono mostri, anche se tutti, nessuno escluso, portano il proprio carico di colpa, quando per azione cosciente, quando per omissione consapevole, quando per immersione – che appare inevitabile – nella fanghiglia della provincia feroce.
La storia procede anche come un bel giallo ma il piacere della lettura sta nell’emergere delle sfaccettature dei personaggi: il patriarca, la moglie, i due figli maschi, le due figlie femmine. Nessuno è innocente, nemmeno chi, già gravato di un incolpevole peccato originale, ha cercato di salvarsi allontanandosi. Tutti sono mirabilmente invischiati dalle tessiture del patriarca che sempre si muove ad unico beneficio della famiglia.
La scrittura è tanto barocca quanto precisa, a volte eccessiva, a volte fastidiosa, ma bastano poche pagine a rassicurarci che non si tratta, non solo, di un esercizio di bravura: dà l’idea di una volontà dell’autore di volerci trasmettere tutto il miscuglio di scirocco e sudore e aliti pesanti e profumi costosi e vere eleganze tuttavia svaccate di fondo.
La costruzione cronologica con i ritorni indietro rasenta la perfezione: a volte restiamo un attimo confusi ma sappiamo sempre a che punto emotivo e temporale siamo.
Solo il finale mi è risultato un po’ “facile”. Ma il vero finale è di qualche pagina prima, quando si capisce che cosa è successo davvero e l’abisso del patriarca appare senza fondo.
Non conoscevo affatto Nicola Lagioia, cercherò qualche suo romanzo precedente, una volta tanto il Premio Strega ha fatto una buona scelta.

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