Perchè scrivo

So bene come ho cominciato: in collegio, dove sono arrivato dopo l’improvvisa morte di mio padre quando avevo undici anni, come dialogo con me stesso. Erano scritti che non si aspettavano di essere letti da altri. È stato il modo in cui mi sono curato le ferite. Prima erano quaderni. Poi, le prime sofferenze d’amore sono passate da quei blocchi con le grappettone nella parte alta. Fitti fitti, in certi casi quasi un flusso di coscienza.

Adesso è diverso. Adesso non è più un bisogno e, anche se le mancanze tendono a rendermi più produttivo, non è più una regola. Adesso è un piacere. Di cui sento di non dover rendere conto a nessuno. Qual è, dunque, per me, il significato di pubblicare, nei modi in cui riesco a farlo, quello che scrivo? In ultima analisi credo sia – mi mantengo qualche margine di dubbio: nessuno può mai essere certo della ragione profonda delle proprie azioni significative – la voglia di comunicare. Un’altra ragione, infatti, è che scrivere mi restituisce, attraverso chi legge e me ne dice, informazioni su ciò che ho scritto di cui non ero consapevole. Quindi, su di me. Punti di vista che non sapevo di aver prodotto. Questo è, di per sè, già molto nutriente.

Come scrivo

Avevo il vezzo di scrivere, in prima stesura, con una penna stilografica.  Considero vere penne stilografiche quelle con serbatoio a pompetta; quella era con il caricatore.
Una volta esaurito il primo, non ho avuto voglia di cambiarlo, e ho preferito comprare un barattolo d’inchiostro blu e intingervi il pennino.

Mi piaceva, quando facevo scorrere la punta del pennino, dopo averlo intinto, sull’orlo della bottiglietta, vedere l’inchiostro in più che scolava lungo la boccetta, e mi piaceva il rumore del pennino sulla carta.

Un giorno che avevo finito l’inchiostro ho cominciato a scrivere a matita, e sto continuando così, con tante matite appuntite, di consistenza diversa, che si alternano, prima che tocchi loro passare per il temperamatite.

Ora mi affeziono alle matite, anche se le alterno casualmemte – sono diverse fra di loro, per morbidezza e tratto – e non riesco a buttarle finchè posso tenerne il mozzicone fra due dita. Magari le riservo per le piccole correzioni, quando non sono più in grado di seguire il movimento della mano che corre dietro al pensiero.

La stilografica, da gran signora qual è, si è messa da parte e osserva partecipe.

Scrivo e correggo e cancello su fogli A4, preferibilmente di riciclo. Quando ho scritto cinque o sei pagine – o tre / quattro: non mi sono data una regola precisa – trascrivo sul pc. È’ già il momento di prime correzioni, aggiunte, sostituzioni, cancellazioni.

Stampo e rileggo. Correggo e cambio sulla carta, poi di nuovo al pc e così via, finchè non sono soddisfatto.

Chiedo un feedback a chi so che saprà essere critico il giusto, e tengo conto delle osservazioni. Qualche volta mantengo il punto, qualche volta cambio.

 

Tavolo di lavoro

L’oggetto luccicante, sulla sinistra al centro, dentro a un piccolo contenitore di legno, difficilmente potrebbe essere riconosciuto come un temperamatite: è un temperamatite, regalo di un’amica preziosa.

Scrivo a matita. Fino a qualche anno fa scrivevo con una penna stilografica. Ci sarà stato un significato, in questo cambio di strumento? Chissà.

Scrivere è una passione, non capisco chi lo vive come una sofferenza. Per me è un piacere continuo, migliorare e migliorare la frase fino a farla uscire proprio come volevo.

E, talvolta, tuttavia, cancellarla. Perchè, anche se finalmente era venuta proprio ben scritta, è risultata superflua.
Asciugare, infatti, è diventata la parola chiave. Ci sono dovuto arrivare, perchè fino a un certo punto non volevo rinunciare a niente che avevo scritto, tanto ogni parola mi sembrava preziosa.

I mucchietti di fogli:

  • a sinistra in basso, un romanzo al quale sto lavorando da più di cinque anni. L’ho smontato e rimontato più volte, sono passato dalla prima persona al presente a una presuntuosa seconda persona e ora lo sto riscrivendo in terza persona, al passato, nel più classico dei modi.
  • a sinistra in alto ritagli di giornale che un giorno potrei usare, abbozzi di storie, racconti che non mi convincono, elenco di persone che mi potrebbero aiutare nella diffusione, quando il romanzo sarà stato stampato, un precedente romanzo, già autopubblicato ma di cui non sono soddisfatto e sul quale voglio tornare, perche la storia merita.
  • Sulla destra, lettere che scrivo a chi è bene, per me, che non le riceva, e che infatti regolarmente strappo: sempre piu asciutte, sempre più essenziali, finchè non mi servirà più farlo. La scrittura è tante cose.

Infine, sulla destra, marrone, la casa di penne: definizione – quando la poesia nasce dal non sapere abbastanza – del signore senegalese che me la propose, e dal quale la comprai, su una spiaggia toscana.