_01New York

(ago/set 2015)

A un paio di giorni dalla fine di questa vacanza: siamo stati in quattro case diverse, ed abbiamo goduto di un’ospitalità impagabile. Mi sono sempre sentito totalmente a mio agio, con la possibilità sempre di fare o non fare, andare o non andare. Di questo voglio ringraziare, really from heart, Carol, Steve, Michael, Angela, Erik, MaryBeth, Mike.

Prime impressioni
Arte nei bar, Woody Allen e altre storie
Dall’Empire: tutt’altro che banale


Prime impressioni

Ospiti all’arrivo, a New York, di Carol e Steve – lui giornalista lei avvocata – al momento in vacanza in Europa. Ingresso su Madison avenue, via fra le più prestigiose di Manhattan, con baldacchino che si estende per tutto il marciapiede e portiere 24h che manco ti avvicini ti apre la porta sia in entrata che in uscita.

L’arrivo in aeroporto con tre ore e quarantacinque minuti in fila in piedi al serpentone davanti al controllo passaporti che neanche in Uganda mi fa riflettere su quanto ci piace fustigarci circa le inefficienze italiane, che guai d’ora in poi a chi si permetta di dir male di Fiumicino. Comunque sopravvissuti, amen.

La casa è carica di cose raffinate e di piccole invasive collezioni di cosette strane di ogni genere.

Già stato a NY, lo stesso per pochi giorni, qualche anno fa; la strana sensazione che provo è di sentirmici a mio agio come se padroneggiassi la città.

In fondo a Manhattan gli imbarchi per la statua della libertà, l’isola dove venivano accolti o respinti gli immigranti – se non l’avete visto, “Terranuova” di Crialese dirà molto – e il grattacielo costruito dov’erano le torri gemelle.

Da lì una bella passeggiata fra giardini ben tenuti lungo l’Hudson dove provo ad essere d’aiuto per risolvere un problema di scacchi ma tutte le mie soluzioni erano già state sperimentate, ed ho solo confutato un’ipotesi che sembrava brillante ma risultava perdente.

Era una zona, a ridosso delle banchine per le navi che risalivano l’Hudson, di magazzini, con le tipiche scale antincendio esterne.

Da quando ci si è trasferito, sembra, Robert De Niro, è in via di riqualificazione urbana, anche se comunque resiste un enorme deposito UPS.

Arriviamo al nuovo Whitney museum, su progetto di Renzo Piano. Deludente nei contenuti, ma qualcosa per cui ne sia valsa la pena si trova sempre

Rocko, Pollok, Hoover, un a me ignoto emulo di Magritte, e scusate se è poco.
La vista dalla terazza bar:

Fra le meraviglie dell’appartamento che ci ospita c’è la terrazza condominiale, attrezzata con ombrelloni sdraie sedie, dove ci portiamo e consumiamo le colazioni prese dallo Stardbuck sotto casa, con vista sull’Empire State Building.

New York è una città piena di cose che sembrano fuori posto, con la chiesetta alta 10 metri a fianco del grattacielo o l’edificio a parallelepipedo rosso che non ha voluto vendere ed è ora sovrastato da enormi uffici ma ha mantenuto dentro il suo bar tutto americano con tanto di orinatoi originali di almeno due secoli fa.

Penso che il suo fascino stia in questa capacità di amalgama e di sovrapposizione, di edifici tanto quanto di umanità e culture diverse dove, contrariamente all’impressione iniziale, niente è davvero fuori posto.
Organizzazione e coordinamento: la sosta a uno dei tanti franchising – questo era “all salads” – mi fa riflettere sulla capacità di organizzazione e di smaltimento velocissimo di decine e decine di persone che entrano ed escono a ciclo continuo. Siamo all’ora di punta, intorno alle 13, la clientela è la più varia fra operai in tuta tailleur eleganti vecchiette: dietro al bancone in uno spazio stretto

conto almeno dodici addetti a comporre le insalate in qualsiasi variante fra le decine e decine esposte. L’unica accortezza è di essersi fatte le idee chiare prima di arrivare al banco. Alla fine del percorso ti chiedono se l’insalata la vuoi più tagliata e su un tavolo di legno te la sminuzzano con una mezzaluna a tre lame. Una quantità di lavoratori, probabilmente mal pagati, probabilmente studenti e comunque un servizio efficiente dove tutti sono gentilissimi. E l’insalata era pure buona.


Arte nei bar, Woody Allen e altre storie

La giornata con la guida di Glenn è speciale. Glenn è un artista – prevalentemente pittore – e un profondo conoscitore di New York. Ci illustra alcuni dei murales (chiamano così, diversamente che da noi, le pitture sui muri in interni) sui quali ha scritto un bellissimo libro.
Rockfeller center fu costruito negli anni 30. Lui era l’essenza del capitalismo, la moglie una un sacco di sinistra, che pretese ed ottenne di affidare ai più grandi artisti viventi le pitture interne. Si dice che Picasso e Matisse abbiano rifiutato, alla fine la scelta cadde sul messicano Diego Rivera, che presentò in approvazione i suoi bozzetti e poi fece come gli pareva, disegnando un grande Lenin e varie altre provocazioni anticapitaliste. Rockfeller si infuriò, cacciò Rivera e mise guardie armate per impedirgli di entrare mentre la sua opera veniva cancellata. Si dice che Frida, moglie di Rivera, distraesse le guardie permettendo ad un suo amico di entrare e fotografare tutto, e così Rivera potè riprodurre la sua opera, che ora è a Città del Messico.

Subentrò un pittore francese con muscolosi omaccioni fra Michelangelo e il realismo socialista, tutto in bianco e nero. Gli yuppies della zona sono ora soliti darsi appuntamento “sotto al pacco”.

Qui siamo al King Cole bar at St Regis Hotel.
La scommessa fu che non sarebbe riuscito a dipingere una scoreggia, e così Maxfield Parrish – siamo nel 1906 – che stava lavorando ad un murale per un antipaticissimo committente, che pretendeva ci fosse la propria faccia nella posizione del re al centro, lo accontentò e lo dipinse mentre scoreggiava, come si capisce dalle figure intorno, con la faccia disgustata del pittore che si tura il naso.

Infine, il Carlyle, illustrato da un pittore svizzero allora molto rinomato, i cui murales dai colori pastello erano stati quasi del tutto ricoperti dalla nicotina. Glenn fu chiamato a restaurarli, ci racconta che fece un lavorone e che fu pagato meno del pattuito, del che si rifece in una maniera che non si può dire ma molto artistica. Non è finita: svicolando fra le cucine facendo finta di niente, Glenn ci porta in un locale parallelo, in quel momento chiuso, con altri murales, dove ci dice che Woody Allen suona il suo clarinetto nella jazz band una volta a settimana.

Ci racconta che, nella discussione per essere pagato il giusto, gli fu offerto un tavolo per una serata con Woody Allen, dove alla fine gli fu però presentato un conto di ottocento dollari.

Glenn è il primo sula sinistra in piedi. La vendetta ci fu, anche questa non si può scrivere ma fidatevi che fu notevole.

Una passeggiata serale a Bryant Park offre quello che a me pare il meglio di questa città: fate conto circa la larghezza di Piazza Vittorio a Roma, forse un po’ meno, un piccolo palco con una discreta rock band, sedie e tavolini sparsi, gratuiti e in quantità tale che chiunque possa usufruirne,

gente che ascolta, gente che parla, gente che gioca, gente che fa ginnastica insomma ci sarà pure il lato oscuro ma qui la sensazione è proprio di libertà diffusa. Non posso fare a meno di pensare che, in un posto così centrale di una nostra città, i due chioschi-bar si sarebbero allargati a dismisura, ce sarebbero non meno di dieci ad occupare con i loro carissimi tavolini tutto il perimetro della piazza.

Dall’Empire: tutt’altro che banale

Manhattan a 360 gradi fa una certa impressione. Cominciò con “Gang of New York”, chi se lo ricorda il film di Scorsese? Vista dall’alto dell’Empire il fascino di questo pezzetto di terra fra due fiumi torna tutto.
Le foto della costruzione di questo grattacielo, la spiegazione delle modalità costruttive sono impressionanti.
E la gara che ai primi del ‘900 si svolgeva per chi fosse riuscito a costruire il più alto, con le antenne di 60 metri per arrivare più sù può sembrare un gioco infantile fra miliardari, ma sotto c’era la sostanza del potere.
“Quanto puoi andare sù senza che venga giù?”, si dice abbia chiesto il committente all’architetto.
Qui sotto si riconosce Central Park (qualcuno ricorda Hair, di M. Forman?), il grattacielo della Chrysler, uno dei competitor, forse il più bello, e l’attenzione è attratta anche dalle costruzioni basse, ciascuna delle quali avrà, credo, una sua leggenda o di tigna del proprietario o di reperto storico da conservare.

Per chi non ci fosse ancora andato: la spesa per arrivare al picco più alto – circa la metà dei 50 dollari che saranno ben spesi – si può risparmiare. Dall’86mo piano si vede tutto, e all’aria aperta.

2 commenti
  1. Alfredo
    Alfredo dice:

    Ciao Stefano!
    E’ sempre un piacere leggere i tuoi racconti.
    Simpatici ed interessanti anche i tuoi appunti dagli USA. Non sono mai stato a New York. Ti ringrazio perché così mi hai fatto risparmiare un bel po’ di soldi che utilizzerò in altri viaggi…
    Buone vacanze!
    Alfredo

    PS: mia sorella e mia nipote sono tornati qualche giorno fa da una vacanza di una settimana a New York. Anche loro mi hanno raccontato della interminabile fila che hanno dovuto fare al controllo passaporti dell’aeroporto JFK.

  2. Anna
    Anna dice:

    Li ho divorati tutti d’un fiato! E poi..un respiro lungo, tanto da dover riprendere il fiato. Non immaginavo di venir rapita dalla voglia di arrivare in fondo, solo leggendo alcuni appunti sul tuo viaggio a New York, che invero ho già visitato…ma le tue parole la rendono “nuova”.

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