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La banda dei brocchi (Jonathan Coe)

Di Coe avevo letto “La casa del sonno”, che mi aveva lasciato con molte perplessità.

Un’amica che stimo ha da poco scoperto Coe, ne è entusiasta e ne sta leggendo i romanzi uno dopo l’altro. Mi son allora detto che potesse valer la pena riprovare.

In libreria, insieme con un’altra amica, le ho chiesto che cosa ne sapeva, mi ha detto che i romanzi più famosi sono “La famiglia Winshaw” e questo. Ho scelto questo perché con meno pagine e mi sono riservato, se mi fosse piaciuto, di leggere poi l’altro.

Sono le storie di un gruppo di ragazzi nel periodo delle scuole superiori, con intermezzi che coinvolgono i rispettivi genitori e insegnanti. Si è fatto leggere, ma arrivare alla fine mi è stato faticoso. Veramente anche all’inizio è stato faticoso, perché prima di pagina 80 (sono 376) ho avuto il bisogno di farmi uno schema dei personaggi e delle loro relazioni, per fissare chi era amico di chi, chi figlio di chi eccetera. E non è che siano decine, solo che Coe può chiamare lo stesso personaggio con il nome, con il cognome o con un soprannome o un diminutivo, altamente fregandosene della fatica del lettore a stargli appresso. Sono un fautore della responsabilità del lettore di stare attento a quello che legge, ma qui si tratta di avere rispetto del lettore.

La trovata grafica di scrivere l’ultimo capitolo in modalità “allineato a sinistra”, e perciò con i margini a destra non allineati, per sottolineare una specie di flusso di coscienza dentro al quale uno dei personaggi chiude un po’ tutte le sottotrame è, appunto, una trovata, che non aggiunge sostanza e appare più un esercizio di bravura.

È valsa la pena leggerlo per le venti pagine del racconto di una vacanza in Danimarca. Tuttavia, avulse dal contesto, tanto che vengono proposte come il racconto scritto da uno dei protagonisti – Benjamin, l’intellettuale del gruppetto – e ritrovate. Ci sono tratti un cui arriva il bagliore di un’emozione, ma la “costruzione” a me sembra sempre prevalere sul vero sentimento. L’impressione è che a Coe importi poco dei suoi personaggi.

Insomma, senza farla tanto lunga, non leggerò anche “La famiglia Winshaw”. Non che “La banda dei brocchi” sia di quei romanzi da evitare – ce ne sono – ma si vede che Coe è uno di quegli scrittori con i quali non mi nasce un feeling, e con questo bisogna fare pace.