Toccava a lui. Si meravigliò di non sentirsi emozionato. Eppure, per la prima volta avrebbe letto un suo racconto in pubblico.
Era stato molto incerto: la lettura è un atto individuale, non era una bestemmia renderlo pubblico?
Sperava che avrebbero apprezzato la prosa elegante, la consecutio sempre a modino, qualche impercettibile sbavatura sintattica a testimoniare la capacità di piegare la lingua allo stile.
Lo aveva preceduto una ragazza inglese segaligna, con una poesia oscura, densa di morte: budella appese come lenzuola ad asciugare al vento del dolore.
Toccava a lui. Aveva preferito restare seduto, dovette aggiustare il microfono. Si versò un mezzo bicchiere d’acqua. Cercò tra il pubblico il sostegno del volto noto di qualche amico.
Cominciò a leggere. Fu piacevolmente sorpreso nell’ascoltare la propria voce: espressiva, con i giusti accenti, con gli alti e i bassi e i brevi e i lunghi necessari.
Si era fatto silenzio. Il pubblico era attento. Qualche bisbiglio iniziale era scomparso sotto ai cubi a forma di pietra antica che facevano da sedili.
Un paio di pagine, per un incontro fortuito in ascensore, ambiguo di gesti e di pensieri. Anche i due personaggi del racconto vedevano sé stessi da fuori, mentre l’ascensore saliva i venticinque piani previsti dall’autore.
Si accorse di stare anche altrove. Ricordò esattamente la prima volta in cui era stato consapevole di essere presente e, allo stesso tempo, di guardarsi da fuori.
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Era arrivato in una stanza dove tutti sedevano lungo le pareti. Parlavano a bassa voce. Qualcuno piangeva.
Alla casa degli zii poco fuori città dove, per vicende economiche familiari – un fallimento aziendale – viveva da qualche mese, erano andati a prenderlo i due cugini più grandi, tutti compresi – appena uno dei due aveva l’età della patente – nell’adempiere quel compito da adulti.
Aveva intuito qualcosa di oscuro: già la mattina lo zio – si era durante le vacanze di natale – era inusualmente tornato a casa poco dopo essere uscito ed aveva parlato con voce concitata, dopo essersi appartato con la zia.
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La lettura del racconto terminò. Ebbe piacere degli applausi, che gli parvero convinti, e fu contento del sorriso di una sconosciuta.
Avrebbe dovuto, come da scaletta, passare il microfono al vicino di destra.
Si rese conto dello sconcerto degli amici organizzatori quando, invece, attaccò a leggere un altro racconto, previsto per la seconda parte della serata, dopo la pausa.
Trattava della giornata allo stadio di un intellettualino, di quelli che non riescono a stare in pieno nemmeno con le proprie emozioni più terra terra senza infiorettarle di ragionamenti intelligenti.
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Per quanto, da grande, lo avesse chiesto a tutti, non era più riuscito a ricostruire chi infine gli avesse detto che quel giorno, un colpo al cuore, zac, era morto suo padre. Forse, non glielo aveva mai detto nessuno. Forse è una delle cose che non sta bene dire. Meglio, meno doloroso sottintenderla, dovevano aver pensato. Per non turbarlo troppo. Per il suo bene, evidentemente.
Insomma, era stata quella volta in quella stanza con tutti seduti sulle seggiole lungo i muri, nella parte dei parenti e amici addolorati, e sua madre già vestita a lutto, nella parte della vedova, che si era visto così, nella parte dell’orfano undicenne frastornato, privo di lacrime che non fossero di condiscendenza alle aspettative del pubblico.
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Il racconto sullo stadio conteneva qualche spunto drammatizzabile, come alcune imprecazioni e urla – da stadio, appunto – che si stupì di rendere con insospettate doti istrioniche.
Piacque abbastanza anche questo. Non si erano annoiati, nonostante i due racconti di seguito.
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Era morto fra natale e capodanno. Per quale ragione, si chiese solo adesso, non avevano passato il natale insieme?
E bastava, il dolore, a dare ragione che non fosse stata la madre ad andarlo a prendere, per dirglielo?
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Si guardò intorno. Poggiò i fogli sul tavolo, bevve direttamente dalla bottiglia l’ultimo sorso rimasto.
Era tempo di lasciare la postazione ad altre letture.
Si sedette invece di nuovo. Si ritrovò, per non esibire la commozione, a stringere con tutte le forze che aveva i braccioli della poltroncina, fino a schiarire – private dell’afflusso di sangue – nocche e falangi.
Fu un attimo. Si alzò, ricevette pure un piccolo applauso di incoraggiamento.