Eccovi tutti qui, miei diletti.
Distesi, rilassati nei vostri bei camicioni colorati.
Bottoni di madreperla, su dal collo giù giù fino alle caviglie, riflettono spettri solari sfaccettati.
Corpi ancora informi.
Babbucce dorate coprono i vostri piedi.
Giochi di luci sapienti tengono in ombra i vostri visi.
Questo siete, cari miei: masse informi, che attendono di essere modellate.
Da me.
Sì, mi sento in vena, adesso.
Se mi stendessi tra voi, con le mie babbucce dorate, la testa nascosta, potrei sembrare uno di voi?
Si noterebbero i miei seni.
Potremmo poggiare il ventre a terra.
Si capirebbe la curva diversa delle mie natiche.
Di lato allora.
La mia vita sottile e i miei fianchi tondi.
No, miei carini, non potrei essere uno di voi.
Ma eccomi qui tra voi.
Per il vostro piacere.
Ah, sì, è tutto pronto.
Dalla voliera fantasmagorie di piume svolazzanti.
Ancelle leggiadre svuotano brocche di acqua di rose che scivola in rivoli, tra felci e papiri, alla fontana centrale che la restituisce in zampilli odorosi.
Essenze e incensi fumigano e si disperdono dalle grate sul pavimento, finemente lavorate in oro massiccio.
Siete pronti, miei adorati?
Non siate impazienti.
Mi sembrate adeguati, voi di stasera.
Non vedo muscoli trasalire.
Sotto i vostri sudari immagino corpi intonati senza rigidità.
Tensione soltanto sotto pelle.
Attesa.
Mie dolcezze.
Miei stupendi.
Sono presto da voi.
Voglio cambiare il mio camicione, non voglio che sia eguale ai vostri.
Ma come farò a indossare la mia seta pieghettata senza mostrarvi il mio corpo, qui, in mezzo a voi?
Non conosco i vostri visi. Posso immaginare i vostri occhi chiusi.
Le ancelle mi aiuteranno tra le felci, vicino alla fontana, al centro.
Lontana e vicina a tutti allo stesso modo.
Imparziale.
Oh!
La tua babbuccia si è mossa!
T’ho visto!
Sarai l’ultimo, stasera.
Sì ancelle, così, fate scendere la tunica, spalmatemi d’unguento e calate la seta sottile, con movimenti sincroni delle vostre mani sapienti, così che la porzione del mio corpo via via scoperta possa essere soltanto immaginata.
Sono pronta.
Eccomi a voi.
Ti voglio far sentire l’odore della mia seta.
Basterà un lembo della mia larga manica a sfiorare il tuo bel viso ignoto.
A te poggerò una mano sul ginocchio e smuoverò circolarmente la rotula, pian pianino.
E tu.
Voglio dedicarmi un poco anche a te.
Questo bottone, il terzo sotto la gola. E quello sotto. Oh, il tuo petto è glabro e appena ottonato.
Posso esplorare orizzontalmente.
Verso il fianco.
La tua pelle non è più liscia. Eppure non fa freddo.
È la mia mano?
La ritiro. Perdonami se uscendo ti ho scoperto l’altro fianco.
Anche tu.
Mi inginocchierò ai tuoi piedi.
Non sentirai il mio profumo.
Non mi vedrai.
Allargherò appena i tuoi piedi tra loro.
Solleverò un lembo della tua camicia.
Con entrambe le mani agguanterò la stoffa dorata che copre il tuo tallone.
Resterò con le dita sotto la trama, e la arrovescerò lentamente, fino a sfilare la babbuccia.
Passerò la mia lingua sui bordi della tua pianta e leccherò la punta delle dita.
Prenderò l’alluce, lo separerò e lo succhierò una volta sola, ma tu sentirai la mia lingua nei tuoi visceri.
Vengo anche da te.
Che cosa hai visto?
Ancora nulla.
Che cosa hai sentito?
Niente di niente. Non ti ho nemmeno ancora guardato.
E allora, perchè quel monticchiolo tra le gambe?
Slaccio un bottone al centro delle cosce.
Poi un bottone all’altezza dell’ombelico.
Ne restano tre, in mezzo.
Ancora uno. E uno.
L’ultimo al centro è teso.
Sotto è tutto un nerume.
Non riuscirai a slacciare il bottone dove premi.
Ti permetto di tentare, però.
Sarà difficile, con i polsi arrotolati da strisce di pelle di gazzella.
Rieccomi a te. No, non ti trascuro.
Hai due bei bottoncini duri, sul petto, ma questi sporgono da sotto la veste!
Li prenderò entrambi, con entrambe le mani, tra l’indice e il pollice.
Li cullerò e per un momento li stringerò selvaggiamente.
Li consolerò scoprendoli e offrendo loro olio di palma.
Di nuovo tu.
Mi sdraierò un attimo su di te.
Assaporerò le tue parti molli tra le mie gambe.
Strofinerò coscia a coscia.
Se dovessi sentirti diventare duro allora prenderò tra le mani le tue palle e le stringerò piano, e la tua crescita si fermerà oppure stringerò più forte.
Ecco. Così.
Sì. Ti libero.
Ora sei di mezza tacca.
Posso sbottonarti intorno.
Puoi rialzare le tue vele mentre mi allontano.
E ancora tu. Nero turgido grosso prepotente.
Nell’impari lotta con l’ultima madreperla hai scoperto una punta rosso fuoco.
Rosso e nero in lotta.
Mi piace guardarti che comprimi i muscoli del ventre piatto sotto i peli corti e ricci, e poi li lanci di qua e di là senza tregua.
La punta è sempre più rossa ma la madreperla resiste.
Sei bravo nella lotta.
Meriti che io deterga il sudore della tua fronte.
Con le mie labbra appoggiate alle tue depositerò, sotto le gengive, tre praline di nettare e miele.
Mio lottatore.
A te nuovamente.
Perchè il tuo alluce rotea senza posa?
Mi deludi.
Come puoi pensare che io torni al passato?
Solleverò la tua veste e la rimboccherò fino a coprire quell’asta indecorosa.
Allargherò le tue cosce.
Ti farò sentire il rumore della mia mano che risale verso il centro.
Sfiorerò i peli all’interno delle tue gambe.
Scosterò le tue natiche inutilmente indurite, comicamente resistenti.
Aprirò i peli folti che lì albergano.
Immergerò l’indice della mia mano destra in latte di asina e lo spingerò lentissimamente nel tuo buco del culo.
Ti sentirai umiliato fino alla morte, vero?
Ma che cosa dire di quando starò in fondo e muoverò appena la punta del mio dito e tu stringerai per non farmi più uscire?
La punta del mio pollice destro muove, ora, in mezzo alle tue palle, fino alla base della tua verga eretta.
Basta così.
Ora a te.
Ma no.
Ora a me.
Voglio che mi guardiate.
Voglio che mi guardiate.
Che cosa vi aspettate?
Che mi denudi, forse?
Che mi stringa i seni all’insù?
Che apra le mie cosce e possiate vedermi colare?
Tutto questo non avverrà.
Epperò voglio che mi guardiate.
Farò saltare l’ultimo bottone del mio gladiatore e scoprirò il suo glande di fuoco.
Strapperò via quello che resta della tua tunica e con schicchere sottili terrò sveglio il tuo bambino intempestivo.
Richiuderò le tue gambe e libererò quel bozzolo umiliato.
E scoprirò te e te e te e tutti tutti voi tutti.
Vi stenderò tutti a terra a formare un rosone, con i piedi che si toccano lato a lato.
In mezzo a voi vedrò i vostri cazzi fumiganti ergersi imperiosi.
Allargherò la mia veste di seta a la appoggerò sulle punte dei vostri bastoni rutilanti.
Starò immobile, e i vostri pennelli trasmetteranno al mio seno, attraverso la seta sensibile, le vibrazioni dei vostri colori.
Ruoterò, e la mia veste schiaffeggerà le punte dei vostri batacchi.
Vi sembrerà di sentire l’odore della mia fica, e io mi abbasserò e girerò da una parte e dall’altra.
Controllerò le vostre palle gonfie.
Non perderò di vista le tensioni dei vostri quadricipiti.
E danzerò per voi con la mia seta sui vostri cazzi fino a farvi godere come mai avete potuto prima.
Mi fermerò accucciata, con le gambe rannicchiate.
Non temete: sgorgherete rigogliosi da soli.
Basterà aspettare appena un po’.
Distesi, rilassati nei vostri bei camicioni colorati.
Bottoni di madreperla, su dal collo giù giù fino alle caviglie, riflettono spettri solari sfaccettati.
Corpi ancora informi.
Babbucce dorate coprono i vostri piedi.
Giochi di luci sapienti tengono in ombra i vostri visi.
Questo siete, cari miei: masse informi, che attendono di essere modellate.
Da me.
Sì, mi sento in vena, adesso.
Se mi stendessi tra voi, con le mie babbucce dorate, la testa nascosta, potrei sembrare uno di voi?
Si noterebbero i miei seni.
Potremmo poggiare il ventre a terra.
Si capirebbe la curva diversa delle mie natiche.
Di lato allora.
La mia vita sottile e i miei fianchi tondi.
No, miei carini, non potrei essere uno di voi.
Ma eccomi qui tra voi.
Per il vostro piacere.
Ah, sì, è tutto pronto.
Dalla voliera fantasmagorie di piume svolazzanti.
Ancelle leggiadre svuotano brocche di acqua di rose che scivola in rivoli, tra felci e papiri, alla fontana centrale che la restituisce in zampilli odorosi.
Essenze e incensi fumigano e si disperdono dalle grate sul pavimento, finemente lavorate in oro massiccio.
Siete pronti, miei adorati?
Non siate impazienti.
Mi sembrate adeguati, voi di stasera.
Non vedo muscoli trasalire.
Sotto i vostri sudari immagino corpi intonati senza rigidità.
Tensione soltanto sotto pelle.
Attesa.
Mie dolcezze.
Miei stupendi.
Sono presto da voi.
Voglio cambiare il mio camicione, non voglio che sia eguale ai vostri.
Ma come farò a indossare la mia seta pieghettata senza mostrarvi il mio corpo, qui, in mezzo a voi?
Non conosco i vostri visi. Posso immaginare i vostri occhi chiusi.
Le ancelle mi aiuteranno tra le felci, vicino alla fontana, al centro.
Lontana e vicina a tutti allo stesso modo.
Imparziale.
Oh!
La tua babbuccia si è mossa!
T’ho visto!
Sarai l’ultimo, stasera.
Sì ancelle, così, fate scendere la tunica, spalmatemi d’unguento e calate la seta sottile, con movimenti sincroni delle vostre mani sapienti, così che la porzione del mio corpo via via scoperta possa essere soltanto immaginata.
Sono pronta.
Eccomi a voi.
Ti voglio far sentire l’odore della mia seta.
Basterà un lembo della mia larga manica a sfiorare il tuo bel viso ignoto.
A te poggerò una mano sul ginocchio e smuoverò circolarmente la rotula, pian pianino.
E tu.
Voglio dedicarmi un poco anche a te.
Questo bottone, il terzo sotto la gola. E quello sotto. Oh, il tuo petto è glabro e appena ottonato.
Posso esplorare orizzontalmente.
Verso il fianco.
La tua pelle non è più liscia. Eppure non fa freddo.
È la mia mano?
La ritiro. Perdonami se uscendo ti ho scoperto l’altro fianco.
Anche tu.
Mi inginocchierò ai tuoi piedi.
Non sentirai il mio profumo.
Non mi vedrai.
Allargherò appena i tuoi piedi tra loro.
Solleverò un lembo della tua camicia.
Con entrambe le mani agguanterò la stoffa dorata che copre il tuo tallone.
Resterò con le dita sotto la trama, e la arrovescerò lentamente, fino a sfilare la babbuccia.
Passerò la mia lingua sui bordi della tua pianta e leccherò la punta delle dita.
Prenderò l’alluce, lo separerò e lo succhierò una volta sola, ma tu sentirai la mia lingua nei tuoi visceri.
Vengo anche da te.
Che cosa hai visto?
Ancora nulla.
Che cosa hai sentito?
Niente di niente. Non ti ho nemmeno ancora guardato.
E allora, perchè quel monticchiolo tra le gambe?
Slaccio un bottone al centro delle cosce.
Poi un bottone all’altezza dell’ombelico.
Ne restano tre, in mezzo.
Ancora uno. E uno.
L’ultimo al centro è teso.
Sotto è tutto un nerume.
Non riuscirai a slacciare il bottone dove premi.
Ti permetto di tentare, però.
Sarà difficile, con i polsi arrotolati da strisce di pelle di gazzella.
Rieccomi a te. No, non ti trascuro.
Hai due bei bottoncini duri, sul petto, ma questi sporgono da sotto la veste!
Li prenderò entrambi, con entrambe le mani, tra l’indice e il pollice.
Li cullerò e per un momento li stringerò selvaggiamente.
Li consolerò scoprendoli e offrendo loro olio di palma.
Di nuovo tu.
Mi sdraierò un attimo su di te.
Assaporerò le tue parti molli tra le mie gambe.
Strofinerò coscia a coscia.
Se dovessi sentirti diventare duro allora prenderò tra le mani le tue palle e le stringerò piano, e la tua crescita si fermerà oppure stringerò più forte.
Ecco. Così.
Sì. Ti libero.
Ora sei di mezza tacca.
Posso sbottonarti intorno.
Puoi rialzare le tue vele mentre mi allontano.
E ancora tu. Nero turgido grosso prepotente.
Nell’impari lotta con l’ultima madreperla hai scoperto una punta rosso fuoco.
Rosso e nero in lotta.
Mi piace guardarti che comprimi i muscoli del ventre piatto sotto i peli corti e ricci, e poi li lanci di qua e di là senza tregua.
La punta è sempre più rossa ma la madreperla resiste.
Sei bravo nella lotta.
Meriti che io deterga il sudore della tua fronte.
Con le mie labbra appoggiate alle tue depositerò, sotto le gengive, tre praline di nettare e miele.
Mio lottatore.
A te nuovamente.
Perchè il tuo alluce rotea senza posa?
Mi deludi.
Come puoi pensare che io torni al passato?
Solleverò la tua veste e la rimboccherò fino a coprire quell’asta indecorosa.
Allargherò le tue cosce.
Ti farò sentire il rumore della mia mano che risale verso il centro.
Sfiorerò i peli all’interno delle tue gambe.
Scosterò le tue natiche inutilmente indurite, comicamente resistenti.
Aprirò i peli folti che lì albergano.
Immergerò l’indice della mia mano destra in latte di asina e lo spingerò lentissimamente nel tuo buco del culo.
Ti sentirai umiliato fino alla morte, vero?
Ma che cosa dire di quando starò in fondo e muoverò appena la punta del mio dito e tu stringerai per non farmi più uscire?
La punta del mio pollice destro muove, ora, in mezzo alle tue palle, fino alla base della tua verga eretta.
Basta così.
Ora a te.
Ma no.
Ora a me.
Voglio che mi guardiate.
Voglio che mi guardiate.
Che cosa vi aspettate?
Che mi denudi, forse?
Che mi stringa i seni all’insù?
Che apra le mie cosce e possiate vedermi colare?
Tutto questo non avverrà.
Epperò voglio che mi guardiate.
Farò saltare l’ultimo bottone del mio gladiatore e scoprirò il suo glande di fuoco.
Strapperò via quello che resta della tua tunica e con schicchere sottili terrò sveglio il tuo bambino intempestivo.
Richiuderò le tue gambe e libererò quel bozzolo umiliato.
E scoprirò te e te e te e tutti tutti voi tutti.
Vi stenderò tutti a terra a formare un rosone, con i piedi che si toccano lato a lato.
In mezzo a voi vedrò i vostri cazzi fumiganti ergersi imperiosi.
Allargherò la mia veste di seta a la appoggerò sulle punte dei vostri bastoni rutilanti.
Starò immobile, e i vostri pennelli trasmetteranno al mio seno, attraverso la seta sensibile, le vibrazioni dei vostri colori.
Ruoterò, e la mia veste schiaffeggerà le punte dei vostri batacchi.
Vi sembrerà di sentire l’odore della mia fica, e io mi abbasserò e girerò da una parte e dall’altra.
Controllerò le vostre palle gonfie.
Non perderò di vista le tensioni dei vostri quadricipiti.
E danzerò per voi con la mia seta sui vostri cazzi fino a farvi godere come mai avete potuto prima.
Mi fermerò accucciata, con le gambe rannicchiate.
Non temete: sgorgherete rigogliosi da soli.
Basterà aspettare appena un po’.