Arriva in motorino: bello, scaciato, abbronzato, sportivo, venticinque anni.
È in ritardo.
Lo sta aspettando davanti alla grande libreria: trent’anni in tailleur elegante, borsa e scarpe di Prada. Classe vera, altroché.
— Scusa il ritardo.
La guarda ammirato e aggiunge:
— Sei sempre uno schianto.
Il broncio della ragazza degrada in un sorriso.
Il ragazzo si toglie il casco per appoggiare un bacio labbra labbra, lei si sottrae senza parere e lo saluta guancia guancia.
Il ragazzo chiede:
— Allora, come mai un appuntamento a quest’ora? E qui, poi?
— Fammi salire, andiamo qui vicino. Guido io.
Il ragazzo scende, mette il cavalletto, tira fuori il secondo casco. La ragazza se lo infila. Lui sale dietro.
Partono: pochi vicoli e parcheggiano davanti a un albergo di lusso.
— Ammazza! Ma a me così mi fanno entrare, qua?
— Vieni, stronzetto.
Entrano tenendosi per mano. La ragazza – alla reception la salutano – ha l’aria di chi ha dimestichezza con l’ambiente. Lui, di chi sa adattarsi all’istante alle situazioni.
Salgono alla terrazza: vista sulla città impressionante. Si siedono, lei ordina per tutti e due, lui la lascia fare divertito. Mangiano di gusto.
— Bello. E pure buono da mangiare. Beh, allora, com’è ‘sta sorpresa?
— Così…
La ragazza sembra avere un’aria mesta.
— Ci siamo sempre visti a casa tua, o fuori città…
Il ragazzo ha l’aria interrogativa ma chi se ne frega, se a te adesso sta bene così…
La ragazza sospira.
— Mi piaceva festeggiare per una volta in un posto bello.
— E che festeggiamo?
— Guarda i gabbiani! Sapessi: la sera controluce sono bellissimi!
— Allora una volta ci veniamo di sera? Mi sa che però qui non sono all’altezza di ricambiare l’ospitalità.
— Ma piantala.
Arriva il cameriere. È anziano, molto professionale.
— Tutto bene, signori? Desiderano il dessert?
— Sì, grazie.
— Porto subito la carta.
Ha risposto lei, naturalmente. Lui la guarda ironico e appena il cameriere si allontana le fa il verso.
— “Sscìggrazie”. Che fai, cambi voce? Domenica allora siamo d’accordo: andiamo sul Velino?
— Ci spacchiamo le gambe! Sono mille e cinquecento metri di dislivello! Non lo so se me la sento.
— Ma come, è un mese che lo diciamo!
La ragazza gli prende la mano sotto al tavolo. Si morde il labbro inferiore. Lo guarda con aria innamorata. Lui si schernisce, poi sfila la mano e, prima che lei protesti, le allunga una carezza sul viso attraverso il tavolo. Nell’impaccio, fa rovesciare un bicchiere d’acqua.
Arriva subito il cameriere a tamponare con un tovagliolo.
— È solo acqua, non si preoccupi. I signori vogliono cambiare tavolo? No? Come preferiscono. Ecco la carta dei dolci; consiglio i biscottini al burro che il nostro chef prepara tutte le mattine. Sono dee-li-zio-si!
Il cameriere si allontana.
— Mi sono stufata, andiamocene.
— Che ti prende, adesso? E i dee-li-zio-si biscottini al burro?
Ridono insieme.
Si alzano, posano i tovaglioli sul tavolo.
La ragazza fa un cenno al cameriere come a dire metta pure sul conto. Escono. Sono davanti al motorino.
— Dove ti porto?
— Preferisco andare a piedi, grazie. Sono un po’ tesa, mi scarico.
— Tesa de che? Boh. Ci vediamo al solito, allora?
Lei gli dà un bacio appassionato, che lui ricambia, sorpreso: in pubblico? Si staccano.
Lui si rimette il casco e svolazza intorno al motorino con la bocca a cuoricino e l’aria dell’uccellino inebriato.
Lei ride. Lui parte.
La ragazza gira l’angolo e ferma un taxi.
— All’aeroporto, per favore.
Apre la borsa, controlla il biglietto: New York, mancano tre ore all’imbarco. Parla al telefonino.
— Sì, i bagagli sono al deposito. Sì, ho restituito le chiavi al padrone di casa. È tutto a posto. Arrivo tra poco. Per la cerimonia, giù? Ci hai pensato tu? Bravo. Je t’aime. Oui. Mais oui. Moi aussi.
Chiude il telefonino. Lo spegne. Appoggia la testa allo schienale.
— Le darò una buona mancia ma lei, sia gentile, vada piano. Vada molto piano, per favore