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Il crepuscolo del mondo (Werner Herzog)

Di Herzog lessi “Sentieri nel ghiaccio”: un viaggio a piedi da Monaco a Parigi per andare a trovare un’amica molto malata; una specie di fioretto, di preghiera laica, di sacrificio per amore dell’amica.

Herzog è anche, direi sopratutto, il regista autore di Nosferatu con Klaus Kinsky, suo attore preferito, interprete anche di tanti western all’italiana, e di Fitzcarraldo, dove fece ripercorrere alla troupe l’insana idea di risalire un fiume in America latina e di trasportare sulla terra la nave nei punti in cui non poteva navigare.

Dunque, la storia estrema di Hiroo Oneda, il soldato giapponese che per oltre venti anni continuò a tenere la postazione, e combattere, nell’isola filippina di Lubang, è proprio una storia per Herzog, che cerca le situazioni limite.

Sono poco più di cento pagine, che rendono la solitudine estrema, la paranoia fatta necessità di sopravvivenza, e infine gli onori tributatigli a partire dal presidente delle Filippine, e poi in patria.

Herzog lo incontra nel santuario dove si è ritirato, dove sono conservati i resti, a brandelli, della sua uniforme, che a Herzog viene permesso di toccare e dove scopre un oggetto che Hiroo aveva dimenticato.

Le affinità elettive (Johann W. Goethe)

Mi sento come il Fantozzi del cineforum: questo libro è una palla mostruosa.

Qui applausi zero, e se qualcuno mi leggesse mi massacrerebbe per l’impertinenza di dire male di uno dei libri più letti al mondo e di più duraturo successo.

Tant’è, pazienza. Ma questi quattro che passano la vita ad aggiustare siepi e piegare colline per ottenere l’ambiente ottimale per le loro viste sono tanticchia insopportabili, anche perchè alcuni passaggi emotivi fondamentali sembrano dipendere proprio da qualche maggiore o minore interesse o passione o attitudine a questi giardinaggi.

Un abisso da carne e sangue che si respirano in Anna Karenina.

La conclusione tragica poi, dopo aver passato metà libro a convincerci della quasi ineluttabilità – addirittura per chimica – del tradimento sentimentale, sembra una vendetta moralistica dell’autore sui protagonisti.

Almeno Edipo era tragico perchè punito senza colpa: costoro sono invece puniti dal destino per aver scelto il loro destino.

Pollice verso, e chi se ne importa se è quasi unanimemente considerato un capolavoro evergreen.

Il bosco silenzioso (Wolfgang Fleischhauer)

La storia scorre fluida, ben raccontata, appassionante.

Il tracciato è segnato dall’inizio, la godibilità non sta nei colpi di scena ma nell’inesorabile percorso che condurrà all’emergere di ciò che è stato con tanta attenzione nascosto.

Come nel lavoro della giovane ricercatrice che “sa far parlare il bosco”, il cui padre proprio in quei boschi scomparve vent’anni prima, bisognerà scoprire strato su strato prima di arrivare a capire. E capire non sarà indolore per nessuno dei protagonisti, ciascuno ben delineato.

Un giallo tedesco, in una fase storica in cui di letteratura tedesca arriva davvero poco, proposto da una piccola casa editrice – Emons – specializzata in gialli tedeschi.

Suggeritomi, insieme a “Uno scia alla corte d’Europa“, dalla libraia di una di quelle piccole librerie – Novarcadia, a Casalpalocco – dove i librai ti sanno consigliare un libro.

Alla fine della notte (Jan Philipp Sendker)

Uno di quei libri solo annusati in libreria e scelto per la caratteristica che. da quando lessi “I versetti satanici”, sono convinto sia una chiave per qualche originalità: l’incrocio di culture.

Jan Philipp Sendker è tedesco, vissuto a lungo negli USA, per anni corrispondente in Asia. Ci regala questo road book nella Cina di periferia, dove la famiglia costretta alla fuga dal capriccio del rampollo di un qualche indeterminato boss si muove senza punti di riferimento sicuri e deve appoggiarsi senza certezze ad un vecchio in un paese sperduto, ad una donna in una città semivuota, ad un amico da tempo perso, infine ad un bambino che cerca la madre.

È una storia cruda, con poca redenzione, nella quale, oltre all’angoscia per la sorte propria e del loro figlio, lui occidentale lei cinese di Hong Kong, non riescono ad essere solidali fino in fondo, mentre riaffiorano ferite fra loro non sanate.

Forse ce la faranno, di sicuro il loro passaggio non sarà indolore nè per chi li accoglie nè per chi li lascia per strada.

Bello, ne cercherò altri di questo autore che non conoscevo affatto.

Breaking news (Frank Schätzing)

Consigliato da Clara Sereni, mille pagine di avventure di un giornalista che, dopo una tragedia in Afganistan di cui è stato parte, ritroviamo – carriera, quella brillante, finita – a ciondolare per i bar del medio oriente scrivendo articoli per giornali secondari.

Gli si presenta lo scoop della vita, l’occasione per provare a rientrare nel giro dei grandi reporter di guerra.

Siccome lo scoop ha a che fare con i servizi segreti israeliani, nelle loro varie diramazioni ufficiali ed anche in quelle che da noi si chiamerebbero deviate, la faccenda si fa complicata fino al rischio della vita, che qualcuno strada facendo ci rimette davvero.

Chi ricorda uno dei racconti della Nausea, di Sartre, sa che il partigiano torturato deve resistere ventiquattro ore per dare modo ai suoi compagni di trovare rifugi sicuri e allora costui, per guadagnare tempo, finge di cedere e si inventa che i suoi compagni hanno come punto di raccolta un certo cimitero. Beh, il punto di racconta è proprio in quel cimitero, ed il povero partigiano senza volere ha consegnato i propri compagni al massacro. Qui succede qualcosa del genere: per avvalorare le informazioni che ha, il nostro protagonista aggiunge di suo qualcosa di molto succoso per il giornale a cui sta offrendo l’articolo e dal quale deve avere una consistente somma di denaro per acquistare il cd, senza sapere che quella invenzione, talmente enorme, è vera, e qualcuno che ha ascoltato la conversazione non può permettersi che venga divulgata.

Comincia così la caccia e la fuga.

Ma questo è solo il filo che lega il romanzo, perchè il grosso della sostanza consiste nel racconto, a mano a mano che i tanti protagonisti si presentano sulla scena e se ne sviluppano le vite, della costruzione dello stato di Israele, delle guerre vinte, delle paci fatte, delle paci non fatte, delle invasioni del Libano dei territori palestinesi del Sinai etc.

Da quello che so, le ricostruzioni sono abbastanza fedeli, anche se il punto di vista è sempre rigorosamente israeliano, ma d’altra parte si tratta di un romanzo e le malefatte israeliane non sono certo sottaciute, anche se grande simpatia verso non tanto i palestinesi quanto i loro capi non sembra esserci.

Se qualcuno ha visto quel peraltro bellissimo film che era Valzer con Bashir può capire quando dico che niente è sottaciuto ma la sofferenza maggiore sembra essere quella di chi è costretto a far finta di non vedere mentre i palestinesi di Sabra e Chatila vengono massacrati dalle milizie falangiste piuttosto che lo strazio di chi è massacrato.

Le parti che mi sono particolarmente piaciute sono quelle delle vite dei colonizzatori di una parte del Sinai che pochi anni dopo sono costretti ad abbandonare tutto perchè è stata fatta la pace con l’Egitto, e alcuni di costoro si ritrovano di nuovo lasciare le proprie case per un nuovo progetto di accordo con i palestinesi. Sappiamo che poi le cose, storicamente e politicamente, stanno andando in tutt’altra direzione, ma le lacerazioni interne e le conseguenze sia sui legami familiari che sulla lealtà dei vari apparati sono ottimamente rese.

Il meglio sono le scene di azione, sia all’inizio in Afganistan sia durante gli inseguimenti a chiave plurima in Israele. Qualche volta al protagonista vengono attribuite doti di combattente direi esagerate, ma il tutto tiene.

Non svelo nè l’invenzione vera del giornalista nè il progetto micidiale che salterebbe se lo scoop fosse reso pubblico, dico solo che risultano credibili nel contesto.

Un libro complesso, documentato, direi al livello del miglior Ken Follet.

Fuga senza fine (Joseph Roth)

Libro letto tanti anni fa, ora riletto.

All’inizio con un po’ di fatica, e mi stavo cominciando a dire magari allora ti era piaciuto ma adesso mi sa che ti arriva su altre corde e non è detto che valga la pena continuare.

Invece ho ritrovato tutto intero quel vago ricordo di personaggi che, tra le due guerre, passano come inebetiti nella vita, senza mai sapere perchè sono in un posto e se hanno voglia, o motivo, di restarci o di cambiare. Eppure hanno attraversato, e vissuto da dentro, la rivoluzione russa, la Berlino degli anni ’20 con dodici locali per omosessuali (il che non mi aspettavo proprio, in quel periodo storico), la Parigi nel massimo del fulgore culturale.

Un’ironia feroce, che mi ha ricordato quella – più leggera nella forma ma non meno ficcante – di Musil, o di Kundera e che talvolta sfoga nell’invettiva.

“Trovò nei suoi lineamenti levigati e ben curati quella fredda stupidità che somiglia tanto alla bontà soave, alla grazie gentile, all’inconsapevole gioia di vivere, quella desolante, incantevole, elegante stupidità che s’impietosice del mendicante al margine della strada e schiaccia con ogni suo passo leggero migliaia di vite”

Sembra l’epitaffio del – nostro – mondo occidentale, con un centinaio d’anni di anticipo.

Ottima idea, averlo ri-letto.