Scrittori, diritto d’autore, editoria digitale

Con gli e-book sarà, presto, la fine non dei libri, ma dei diritti d’autore.

È da quando ci sono (c’erano) le cassette audio che copiamo i dischi, ma con i cd prima e i file via peer to peer oggi, i dischi (i cd) non si vendono quasi più, tranne riedizioni a basso costo, o rimasterizzazioni di vecchi successi, come, di recente, l’opera omnia (si può dire della musica?) dei Beatles.

Diverso per i film, perchè la copia, anche buona, non può mai rendere l’originale sul grande schermo, o l’esperienza del “vederlo insieme a tanti altri”.

Per la musica, l’esperienza collettiva si esprime nel concerto. E infatti io credo che il grosso del business musicale si sia spostato sul grande concerto.

Ho pensato che fosse una buona cosa, per la musica, che non si riuscisse più a guadagnare tanto dalla vendita delle riproduzioni, e ci si dovesse spendere nei concerti dal vivo. Sarebbe rimasto, oltre ai pochi big, chi aveva davvero qualcosa da comunicare.

Non so se fosse una previsione corretta.

Per i libri la vedo più difficile. Ma mi pare certo che, una volta che – non ci vorrà molto – tutti saremo dotati di tablet o simile, la diffusione dei testi in e-book via web sarà sempre maggiore, e se gli ostacoli che le major discografiche e cinematografiche hanno opposto non hanno funzionato per musica e cinema, figuriamoci con un piccolo file di pochi kb.

Perciò, quale casa editrice pagherà più un autore per il suo lavoro? Forse è per questo che, sempre di più, lo scrittore tende ad essere personaggio, e il giro per librerie e associazioni culturali per la presentazione del libro tende a somigliare un po’ – fatte tutte le proporzioni, si capisce – al tour per il nuovo cd.

Forse è un passo indietro? Non so… mi capita di conoscere una scrittrice famosa e, a parte il piacere intellettuale della conversazione e del confronto, non sono sicuro che conoscerla di persona mi abbia fatto apprezzare di più i suoi libri.

In fondo, ogni scrittore mette sè in quello che scrive, non può che essere così, ma ciò che avrà scritto sarà altro da sè (se no perchè lo avrebbe scritto, invece di viverlo?), e il confronto fra la persona scrittore e la persona lettore è meglio, secondo me, che avvenga “attraverso” il libro. Il contatto diretto “sporca”, in una qualche misura, la fruizione.

Prevedo – a breve, a breve – un’editoria più democratica e più confusa. Da una parte, tanta immondizia sarà più facile contrabbandare attraverso il web. Dall’altra, è sicuro che il preteso talento nascosto troverà il proprio legittimo spazio più di quanto non gliene sia stato concesso dal filtro dei lettori delle case editrici?

Magari sarò smentito. Intanto la lascio (la profezia) a futura memoria.

“Scrivo sempre quando dormi” (variazioni)

“Scrivo sempre quando dormi” significa che aspetto che tu dorma, per scrivere. Forse mi piace scrivere da solo, o forse non voglio sottrarre tempo a noi, quando sei sveglia.

Ma ecco che basta una sola virgola, e la frase cambia di senso:
“Scrivo sempre, quando dormi” vuol dire che, quando tu dormi, io non faccio altro che scrivere. Il che, puo avere a sua volta una serie di significati diversi: può essere il mio modo di coprire il vuoto della tua presenza, oppure che il graffiare della penna, il fruscio dei fogli, sono suoni che ti conciliano il sonno.

Si può enfatizzare, mantenendo il significato, mettendo “sempre” all’inizio della frase:
“Sempre, quando dormi, scrivo”: ho dovuto aggiungere ancora una virgola. La frase è meno fluida, più puntuta: le pause indotte dalle virgole creano sospensione, drammatizzano.

“Dormi sempre quando scrivo” sposta l’accento dallo scrivere al dormire. Forse che ti addormenti, quando scrivo? Il mio scrivere ti concilia il sonno? Non ti piace che io scriva?

Anche qui, una virgola al centro “Dormi sempre, quando scrivo” sembra introdurre un tono di rimprovero, come se tu fossi assente – dormi – mentre io faccio qualcosa che mi piacerebbe condividere con te.

“Sempre, quando scrivo, dormi”: qui ho invertito di posizione di “scrivo” e “dormi”. E così “quando scrivo“, messo tra due virgole, come un inciso, resta sulla sfondo, mentre “Dormi”, messo in chiusura di frase, con “sempre” all’inizio, acquista forza.

Mentre scrivo, mi rendo conto di aver presupposto, come se fosse naturale così, un uomo che scrive ed una donna che dorme. Nella realtà potrebbe benissimo essere l’inverso, oppure i due potrebbero essere coetanei o di età molto lontane, potrebbero essere marito e moglie o una coppia di amanti o di giovani fidanzati, potrebbero essere figlio e madre, figlia e padre, sorella e fratello, amico e amica o amico e amico e insomma la natura della relazione tra le due persone potrebbe cambiare del tutto il significato di ciascuna delle frasi.

Credo si potrebbe continuare a lungo. Queneau andò avanti novantanove volte.

PS: insomma, vi rendete conto 🙂 di quanto sia difficile scrivere?

Kristof Agota

“E quando avrai troppa pena, troppo dolore, e se non ne vorrai parlare con nessuno, scrivi. Ti aiuterà.”

da “Trilogia della città di K”.

Ho sentito poco fa alla radio che è morta. Davvero una perdita.

La necessità di autorizzarsi a scrivere

 

Una mia amica – scrittrice più che affermata – è un po’ preoccupata perchè, per la prima volta, per il libro che ha quasi finito di scrivere, non sente di essersi autorizzata.
Non lo sapevi di questa cosa dell’autorizzazione?
E’ abbastanza scontato che, con il ‘900, tutto quello che si poteva dire è stato detto.
Perciò, perchè continuare a scrivere?
Scrivere implica una certa presunzione. Anzi: non tanto scrivere di per sè, quanto scrivere con l’idea che ciò che si scrive sia degno di essere letto da altri.
Dunque?
Dunque mi autorizzo a scrivere – dice, e spero di non tradirne il pensiero – se almeno posso portare un punto di vista anche parziale ma che abbia una sua originalità, o ragion d’essere.
E’ come un’istanza morale.
Come se, trovandosi lo scrittore nella posizione di dio, dovesse per questo sentire su di sè una particolare responsabilità.